Il soldato e il fotografo si incontrarono ad Avdiivka, appena fuori Donetsk, nel cuore della guerra del Donbass. Era un gelido pomeriggio di febbraio. In quel che rimaneva di un capannone industriale, lo sguardo di uno incrociò per un istante lo sguardo dell’altro. Il fotografo fu sorpreso nel vedere che il soldato - insieme al fucile e accanto al pugnale - portava ficcato nel cinturone uno scintillante crocifisso di metallo. Il soldato fu sorpreso nel ritrovarsi nel fuoco di una macchina fotografica anziché in quello di un kalashnikov. L’ombra di quello stupore è rimasto sul suo viso nello scatto che ne seguì. Un istante dopo, un’esplosione fece fuggire il soldato in una direzione e il fotografo in un’altra. I due non si rincontrarono mai più.

Il soldato si chiamava Sergej e sarebbe morto di lì a un mese sotto i colpi di un mortaio filorusso. Il fotografo si chiama Roberto Travan, è il caposervizio grafico della Cronaca di Torino, e oggi – partendo proprio da quello scatto – firma a quattro mani con il collega Paolo Siccardi la mostra «Arma il prossimo tuo». Un percorso per immagini che racconta cosa resta della fede nelle terre di nessuno sconvolte dalla guerra. Conflitti notissimi come quello in Afghanistan, in Palestina, in Iraq, in Siria ma anche lontani dai riflettori come nella Repubblica Centrafricana o in Nagorno- Karabakh. Angoli di mondo dimenticati da Dio ma che di Dio non si sono dimenticati.

«Un paio d’anni fa stavo riordinando l’archivio quando mi sono reso conto che c’era un filo rosso che legava molti dei miei scatti di guerra», racconta Travan. «Quel filo era il senso del sacro, l’idea di Dio che sopravviveva in qualche modo in mezzo agli orrori dei conflitti armati. Ne ho parlato con il collega Domenico Quirico, che ha apprezzato il progetto e mi ha spronato ad andare avanti. Poi ho coinvolto Paolo Siccardi, anche lui torinese e fotoreporter freelance, che da trent’anni segue per Famiglia Cristiana i più importanti conflitti internazionali. Ciò che ne è venuto fuori non è una mostra sulle guerre di religione, ma su ciò che rimane di Dio nei luoghi in cui si combatte».

«Arma il prossimo tuo» segna la prima volta di un’esposizione fotografica al Museo Nazionale del Risorgimento di Torino. Centodieci scatti, la maggior parte in un bianco e nero che odora di calce, sangue e polvere da sparo. Nel mezzo poche macchie di colore, nel segno di una voluta discontinuità narrativa.

Quello tra guerra e fede è da sempre un rapporto segnato da contraddizioni laceranti. «Gott mit uns», gridavano i nazisti, «Dio è con noi». A Srebrenica, nel più terribile genocidio del dopoguerra, alcuni preti benedicevano i miliziani serbi prima dei massacri di civili bosniaci. E in uno scatto presente in mostra, davanti a un’edicola votiva ucraina dedicata alla Madonna spicca una fila di proiettili di fucile, allineati come grani di un rosario.

«In Siria ho fotografato militari che si lanciano all’assalto urlando “Allah u akbar”, “Allah è il più grande”», rievoca Siccardi. «E nelle trincee del Nagorno Karabakh, Roberto ha immortalato nicchie scavate nel terreno con dentro crocifissi e preghiere, che ricordano quelle della Prima Guerra Mondiale sul Carso. Si va dalle divinità urlate alle invocazioni sussurrate in prima linea. È questo che abbiamo cercato di raccontare nella nostra mostra».

I commenti dei lettori