Carlo Freccero, che campagna elettorale è stata?

«Surreale: da un lato promesse da albero della cuccagna; dall’altro competizione viziata da una legge elettorale che obbligherà a un compromesso».

Qual è lo scenario più probabile?

«Quello di un Nazareno bis, benedetto dall’Europa. Meno probabile che il centrodestra abbia una maggioranza assoluta, a meno che il riflusso dal renzismo non acquisti proporzioni gigantesche».

Come giudica la scelta di Di Maio di indicare i ministri prima delle elezioni?

«Operazione virtuale, tutta tesa a dimostrare che vuole essere considerato “fiable” come dicono i francesi, affidabile. Di Maio ha fatto tutto quanto necessario per farsi adottare dal potere».

Quali sono i termini di questa operazione?

«Il capovolgimento del Movimento comincia al convegno di Ivrea. Io c’ero, l’ho capito subito guardando il parterre. Poi l’accoglienza al meeting dello studio Ambrosetti. Il corteggiamento delle élite. I viaggi a Washington e Londra. Il realismo si è impadronito del M5S. Il potere l’ha capito».

Che cosa ha capito?

«Per superare il 30 per cento, la categoria decisiva è “noi possiamo farcela”. Da qui nasce questo “governo Wikipedia” aggiornato giorno per giorno».

Di Maio è stato il protagonista della campagna elettorale: com’è stata costruita la sua immagine?

«Perfettina, come deve essere quella di un nuovo prodotto: i Cinquestelle di centro. Immagine mediana da ogni punto di vista. Dopo aver riempito il serbatoio di gente incazzata, bisognava puntare all’opinione pubblica di mezzo».

Dopo le elezioni del 2013 lei spiegò il boom del M5S dal punto di vista mediatico, il web che batte la vecchia tv. Questa campagna segue quel filone?

«No, al contrario. Nel 2013 Grillo aveva puntato sulla convergenza tra media, incrociando il web con le tv locali. Ora la televisione è tornata centrale, con il suo ancoraggio al passato. Basta guardare gli ascolti, da Sanremo a Montalbano».

Che c’entrano Sanremo e Montalbano?

«Vince l’effetto nostalgia, il ripiegamento sull’analogico. Di fronte allo tsunami dell’innovazione digitale, anziché ripensare il lavoro siamo ripiegati sul mondo analogico della Milano da bere berlusconiana».

Qual è stato l’effetto sugli elettori?

«In tv è andata in onda la retorica del governo, sul web è rimasta la dissacrazione, il debunking, la presa in giro e la battaglia contro le élite».

Come giudica l’assenza di Grillo?

«In questa chiave. Non è un caso che non abbia fatto campagna, perché questo non è il suo linguaggio. Tutto nasce a Ivrea, lì è cominciato il casting elettorale».

Basterà per andare al governo?

«Anche se arriva al 30 per cento, Di Maio non potrà fare il governo da solo. Il 5 marzo si chiude il sipario e si torna alla realtà. O albero della cuccagna o compromesso sadomaso».

E lei quale preferisce?

«Una terza via. Fuori dai patti. Sparigliando con la creatività che finora è mancata ai politici».

Che cosa vuole dire?

«Di Maio deve capire che non ha possibilità di fare il premier. Insistere sarebbe ottuso e narcisistico, rischierebbe di finire in un vicolo cieco come Bersani nel 2013. Faccia un passo di lato e lanci un premier fuoriclasse, che emozioni e unisca, come sarebbe stato Rodotà nel 2013».

Pensa a qualche nome?

«Uno come Carlo Petrini, stimato all’estero e in grado di unire tradizione e contemporaneità, di svegliare l’Italia dalla depressione di una cittadinanza impotente».

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