«Un parroco, un vescovo, quando stilano un bilancio devono verificare quanto hanno restituito ai poveri». Monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, è reduce dal Convegno nazionale degli economi e dei direttori degli uffici amministrativi delle diocesi italiane. Ed è da lì che ha lanciato un monito: la gestione dei beni della Chiesa deve essere trasparente e deve rispondere ai principi cristiani. Qui si gioca la nostra credibilità. Concetto forte che ribadisce con decisione ai microfoni di Radio Vaticana Italia: «Una gestione coerente, chiara, trasparente, fa bene alla Chiesa ma anche a chi ci governa. Riguarda chiunque debba gestire del denaro».

Per la Chiesa, dice, c’è una motivazione in più: «Il Vangelo, i cui principi ci chiariscono come i beni servano per vivere ma anche per far vivere gli altri». In sostanza, quando un credente «gestisce i propri beni non può avere come criterio ultimo il suo tornaconto personale. Dobbiamo riconoscere che troppi beni nella Chiesa non l’aiutano ad alzarsi e a inoltrarsi per le strade del mondo come “Chiesa in uscita”».

Qual è la via maestra da seguire, allora? Galantino non ci pensa due volte: «Onestà - risponde - e poi il rispetto delle finalità dei beni che sono fatti per essere utilizzati da tutti. Si diventa credibili anche per come spendiamo i nostri soldi». Non è demagogia, ci tiene a precisare il segretario Cei, perché questo modo di agire è «l’unica realtà che giustifica l’esistenza della Chiesa. Papa Francesco lo ha ripetuto più volte, senza mai stancarsi. I poveri debbono dettare i criteri d’impiego dei nostri beni».

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