M5S, il timore di infiltrati tra gli eletti. “Attenti alle sirene di Berlusconi”

Il piano B di un’alleanza con la Lega passa dal Senato

M5S, il timore di infiltrati tra gli eletti. “Attenti alle sirene di Berlusconi”

Venerdì si incontreranno per la prima volta: 330 eletti, per la gran parte sconosciuti l’un l’altro, si ritroveranno all’Hotel Parco dei Principi, il quartier generale romano dove il M5S ha festeggiato la vittoria.

Sarà un grande abbraccio collettivo, tra vincitori, ma anche un modo per dare suggerimenti, indottrinare le truppe, svelare ai tanti debuttanti i pericoli del Palazzo. Luigi Di Maio, la sua cerchia, lo staff della comunicazione non si fidano: su oltre trecento deputati e senatori, solo meno di cento provengono dall’ultima legislatura. Gli altri sono una gigantesca incognita sul futuro del M5S e sulle prospettive di un governo. E visti i recenti precedenti, i buchi nei controlli delle liste, massoni spuntati qua e là, candidati non proprio senza un passato politico o dalle convinzioni scientifiche al limite dell’imbarazzante, è meglio essere prudenti.

La prudenza però è un attimo che diventi paranoia. E così, da lunedì pomeriggio, quando il numero dei seggi e il nome degli eletti erano ormai certi, lo staff si è messo di nuovo al lavoro per radiografare le singole biografie dei nuovi parlamentari «alla ricerca - come ci spiega una fonte nella squadra dei collaboratori - di possibili infiltrati». La parola scelta svela che i timori sono rivolti al centrodestra. Per due motivi. Perché molti dei nuovi eletti hanno ideologie personali che si sposano più con l’asse forzaleghista. Si fanno esempi territoriali: si guarda soprattutto al bacino di eletti del Nord-Est, ma anche al Lazio, alla Puglia, alla Campania, regioni dalle quali potrebbero arrivare i parlamentari più sensibili alle tentazioni di Silvio Berlusconi o di Matteo Salvini.

L’altro motivo è aritmetico: al centrodestra servono 50 deputati per avere una maggioranza alla Camera. Sono tanti, tantissimi, soprattutto se i tempi dello scouting saranno brevi, ma sono pur sempre quasi la metà di quelli che il M5S deve raccogliere sulla strada per il governo. Inoltre, chi garantisce sulla fedeltà dei nuovi entrati, premiati dalle urne, che con il M5S non avevano mai avuto a che fare prima? A gennaio Di Maio ha sganciato le parlamentarie dall’appartenenza storica al Movimento. C’è chi si è iscritto il 3 gennaio e chi, tra i candidati all’uninominale, è stato chiamato direttamente dal capo politico per dare un nuovo volto, più presentabile, al M5S. Il leader sa di non poter garantire per tutti i suoi colleghi. Per questo ha dato mandato ai suoi uomini di ripassare al setaccio uno dopo l’altro tutti i profili. E lo staff, di conseguenza, ha chiesto ai neo-eletti di evitare il più possibile i giornalisti, per scongiurare dichiarazioni che possano avere effetti politici verso sinistra o verso destra.

Anche perché a oggi, nonostante il M5S voglia insistere con il Pd, nessuna strada è preclusa. Il senatore Danilo Toninelli ha ribadito che l’appello del M5S è rivolto «a tutti i partiti» «per un governo che metta al centro i temi». Toninelli, uomo di fiducia di Di Maio, in queste ore è forse il più attivo tra i grillini. Accoglie funzionari di Palazzo Madama nell’ufficio dei gruppi, telefona, apre canali di trattativa. Con lui sarebbe in continuo contatto il leghista Roberto Calderoli, dato come possibile presidente del Senato, se il negoziato con il Pd dovesse naufragare del tutto.

Se così fosse, l’offerta di una presidenza delle due Camere ai democratici non avrebbe più senso e i 5 Stelle tornerebbero a ragionare sulle opzioni valutate prima delle elezioni: Roberto Fico alla Camera e un leghista al Senato. Una doppietta di cui si è tornato a parlare ieri, nel caso in cui fosse necessario far partire il piano B: una trattativa di governo con la Lega per uscire dalla palude.

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