Il campo martoriato del Pd consiglia a tutti i contendenti di cercare una tregua se pur armata. Per questo da ogni parte si presti orecchio, il refrain è sempre lo stesso: meglio evitare le primarie in questa fase. Lo ammettono perfino i renziani, che - pur divisi al loro interno - si stanno rassegnando a questo epilogo che trova d’accordo tutti: da Franceschini a Fassino, da Orlando a Zanda e via dicendo. Rinviando in sostanza al 2019 la contesa. E, per arrivarci, si sta disegnando un percorso. Che vede Maurizio Martina nel ruolo di traghettatore, il tempo per convocare l’assemblea nazionale una volta scavallata l’elezione dei presidenti delle Camere.

Superato questo scoglio, designare all’unanimità, senza candidature contrapposte, un segretario vero: come lo fu Franceschini dopo Veltroni ed Epifani dopo Bersani. Una figura che conduca il partito fuori dalle secche. Fino a quando? Qui le strade divergono: alcuni vorrebbero fino al 2021, scadenza naturale da statuto. Altri fino al 2019, in coincidenza con le europee e magari con un voto anticipato. E chi potrebbe essere questa figura? Il nome più gettonato da varie parti è quello di Graziano Delrio. Anche Renzi - che lunedì sarà in Direzione senza aver alcuna voglia di mollare la presa sul partito - nella sua rosa di favoriti annovera lui al primo posto, seguito da Sergio Chiamparino e in terza battuta da Matteo Richetti. Pure se il ministro dei Trasporti non ha lesinato critiche, Renzi lo considera sempre uno dei suoi.

«È un personaggio di peso e in questa situazione serve qualcuno con una certa statura», dicono i fiorentini. Anche sull’altra sponda, quella degli anti-renziani, Delrio è molto ben visto. Se non altro, perché designare lui consentirebbe di non andare alla “conta”, evitando così uno scontro fratricida.

Dalle parti di Orlando la pensano in modo un filo diverso, puntando su Martina reggente e Zingaretti segretario. «Non sentiamo il bisogno di tornare alla contrapposizione dei gazebo - dice Cesare Damiano - ma di un partito che consulta gli iscritti. Superando la transizione con la designazione unitaria di un segretario». Ma le vie per la tregua sono tante.

Lo stesso Zingaretti non amerebbe correre senza le primarie e anche per lui, fresco di elezione a governatore, il 2019 o 2021 potrebbero andar bene. Stesso dicasi forse per un neo-iscritto di peso come Carlo Calenda. Che non avendo alcuna intenzione di scendere in campo oggi, «non mi candido perché sarei un buffone», forse di qui a un anno-due potrebbe maturare un desiderio che allo stato non si vede. Anche perché pare che da Statuto un nuovo iscritto non possa candidarsi leader. Ma su questa voglia di sedare e sopire, o di rigenerare il partito, incombe una spada di Damocle: l’arrivo - di cui si vocifera tra i renziani - di un’offerta del centrodestra per un appoggio esterno del Pd ad un governo guidato da un fedelissimo di Salvini, Giancarlo Giorgetti.

Numero due di fatto del Carroccio, deputato di lungo corso, già presidente di commissioni economiche, cattolico e da sempre in buoni rapporti con i Dem. In quel caso il Pd si spaccherebbe di nuovo: gli orlandiani, ma anche molti renziani, non vogliono finire nelle braccia della Lega. Ma non si sa se gli altri big e il corpaccione dei peones resisterebbero ai richiami di Mattarella. Specie di fronte alla minaccia di un altro voto anticipato a stretto giro, con il rischio di finire nel baratro.

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