Non chiamatele «fake news», perché il problema con cui la società contemporanea deve fare i conti è ben più ampio di poche notizie false. La questione di fondo è quella di una vera e propria «disinformazione», fatta di inesattezze, imprecisioni, e rese virali dalla potenza di internet. L’Ue presenta i risultati delle prime riflessioni sulla spinosa questione delle «bufale», e le conclusioni contenute nel rapporto del gruppo di esperti appositamente creato invitano ad azioni a vasto raggio in particolare in rete, dove il flusso di informazioni risulta più difficile da controllare. Il commissario per l’Economia digitale, Mariya Gabriel, promette interventi legislativi. «Ora disponiamo di un’ampia gamma di materiale che ci aiuterà a presentare una serie di iniziative politiche per affrontare meglio i rischi posti dalla disinformazione diffusa on-line».

Le proposte arriveranno il 25 aprile, giorno per cui è prevista la presentazione del piano d’azione con cui definire, nel dettaglio, la lotta alle fonti di disinformazione. La commissaria comunque anticipa già che non vi saranno black-list. «Non si tratta di creare ministeri della verità né di promuovere censura. Nel rapporto, del resto, non si parla di liste nere» dove includere siti considerati come responsabili di disinformazione.

Il comitato di alto livello non ha dubbi: la questione delle fake-news non è che la punta dell’iceberg, una parte minore di un fenomeno ben più complesso. Si sceglie quindi deliberatamente di non usare l’espressione ormai di uso comune, ma di utilizzare il termine di «disinformazione», poiché questo include tutte le forme di informazioni false, inaccurate o fuorvianti progettate, presentate e promosse per causare intenzionalmente danno pubblico o per profitto. Perchè a volte le inesattezze sono studiate a tavolino, rileva il documento di 44 pagine presentato oggi a Bruxelles.

Trasparenza e cabina di regia comunitaria

La parola d’ordine è «trasparenza», e il modo di attuarla è una cabina di regia europea. La Commissione europea, insieme agli Stati membri, dovrebbe sostenere la cooperazione tra organizzazioni dei mezzi d’informazione, piattaforme, ricercatori accademici, verificatori dei fatti e delle fonti, industria della pubblicità e organizzazioni della società civile al fine di garantire il necessario livello di controllo pubblico ed equilibrio nella definizione di standard di trasparenza.

Sul web citare la fonte, sempre

Il gruppo di lavoro della Commissione suggerisce, come norme di principio generale, che tutti i media digitali forniscano «le informazioni necessarie» a identificare chi c’è dietro un determinato tipo di informazioni. «Le piattaforme dovrebbero mostrare queste informazioni», si legge nel rapporto, dove come «primo passo» verso il nuovo percorso di trasparenza si consiglia di specificare i termini di pubblicità politica e di sponsorizzazioni. Si insiste anche sulla necessità di fornire informazioni sugli algoritmi alla base alla base della selezione e della pubblicazione delle notizie.

I centri europei

Tra le raccomandazioni messe nero su bianco anche quella della creazione di speciali «Centri europei per i problemi di disinformazione», con il compito di portare aventi ricerche interdisciplinari che monitorino costantemente tecnologie, strumenti, natura e impatto potenziale della disinformazione nella società, valutando la veridicità dei fatti alla base di notizie e informazioni nelle aree di interesse generale (politica, cronaca, salute, scienza, istruzione, economia, ecc.). A questi stessi centri verrebbe inoltre conferito l’incarico di identificare e mappare le fonti e i meccanismi di disinformazione sul web, e rendere disponibili i dati delle piattaforme al pubblico.

Il nodo delle risorse

Serviranno risorse, gli Stati Uniti insegnano. Oltre oceano il dipartimento di Stato ha ricevuto 120 milioni di dollari per finanziare le politiche di contrasto alle interferenze straniere nelle elezioni o seminare sfiducia nella democrazia, e il Dipartimento della Difesa è stato incaricato di dedicare ulteriori risorse alla lotta propaganda. Il gruppo di esperti si attende «almeno un livello simile di impegno finanziario» all’interno del prossimo bilancio settennale dell’Ue. Si tratta di circa 100 milioni di euro. Dovranno deciderlo gli Stati membri, che su questo devono ancora sciogliere tutti i nodi.

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