Da qualche giorno, nei palazzi del potere politico, se ne comincia a parlare, sia pure sottovoce e a futura memoria. Se lo stallo prosegue - si ragiona al Quirinale ma anche nei quartier generale dei leader - si potrebbe approdare a quello che viene già definito il “governo di tutti e di nessuno”, con una maggioranza larga, dai Cinque Stelle alla Lega, passando per Pd e per Forza Italia. Un governo e una maggioranza dai contorni assolutamente inediti e che proprio per questo avrebbe bisogno di una leadership forte e soprattutto riconosciuta da tutti: è questo il motivo per il quale nei colloqui informali si immagina che un personaggio sul quale potrebbe esserci una convergenza è quello dell’economista Carlo Cottarelli, già commissario per la spending review nei governi Letta e Renzi, già alto dirigente del Fondo monetario internazionale.

Certo, si tratta di scenari per ora disegnati sull’acqua, perché prima dovranno consumarsi tentativi e scenari più fisiologici, ma in caso di stallo la possibile convergenza su una figura come Cottarelli già oggi appare percorribile e plausibile per due ragioni: l’autorevolezza del personaggio e la sintonia che sulla sua visione si è manifestata da parte di alcuni dei protagonisti della trattativa in corso per la nascita del futuro governo, in particolare Cinque Stelle, Pd e Forza Italia.

Il professor Andrea Roventini, designato come possibile “ministro dell’Economia” di un governo Cinque Stelle, in una intervista al Sole 24 Ore, ha auspicato un no alle privatizzazioni, crescita e investimenti come leva per abbattere il debito, che «va tenuto sotto controllo, facendo tagli mirati alla spesa realizzando il piano Cottarelli e tagliando agevolazioni fiscali improduttive».

E anche il leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio fa riferimento a Cottarelli: «Noi prenderemo un po’ di deficit, abbasseremo le tasse alle imprese, le imprese produrranno di più, ripianiamo il debito. E se non bastano i 30 miliardi di Cottarelli e i 20 delle detrazioni, vuol dire che faremo un po’ di deficit». E mentre il rapporto col Pd di Carlo Cottarelli è segnato dall’incarico ricevuto da Letta e poi risolto durante il governo Renzi, ma anche da un comune orizzonte, per Forza Italia fa testo la dichiarazione fatta da Silvio Berlusconi durante la campagna elettorale: «Cottarelli aveva presentato un piano ma è stato mandato a casa. Io gli ho fatto una telefonata e siamo d’accordo: che se vinciamo le elezioni ci vediamo e visto che ha due anni di vantaggio rispetto a chiunque altro, potrà realizzare le cose che ha detto».

Cottarelli, incalzato anche ieri dai giornalisti, da una parte non ha lisciato il pelo dei partiti («Dalle urne è uscita un’Italia che vuole fare l’opposto di quello che dico io, cioè un’Italia che vuole fare più deficit»), ma al tempo stesso ha ipotizzato un esecutivo non politico: «Non credo che si arriverà ad un accordo per un governo stabile, penso piuttosto ad un governo di transizione che avrà il compito di portarci a nuove elezioni».

Naturalmente perché la politica italiana viri di nuovo verso un governo tecnico servirebbero diversi acceleratori e “additivi”, il primo dei quali per ora non si è fatto sentire. Ed è l’irrequietezza dei mercati. Finora insensibili allo stallo italiano, i mercati - spontaneamente o mossi da qualche “mano invisibile” - potrebbero tornare a rumoreggiare?

Proprio Cottarelli getta acqua sul fuoco: «Nell’immediato non sono preoccupato e vedo che i mercati in questo periodo sono tranquilli. Mi aspetto un po’ di movimento ma il problema non è ciò che succederà nei prossimi giorni ma nel giro di due anni quando i tassi d’interesse cominceranno ad aumentare in tutta Europa. E l’Italia potrebbe entrare di nuovo in recessione».

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