È possibile che destra, sinistra e populisti possano far parte di uno stesso governo? Sì, e succede in Svizzera, dove non serve la maggioranza, ma tutte le forze politiche guidano insieme il paese. A tutti i livelli. La chiamano “formula magica”, ma per gli svizzeri è un concetto talmente connaturato nella tradizione politica, che a ogni scadenza elettorale il miracolo accade spontaneamente: quando è il momento di dar vita a un nuovo governo, i maggiori partiti rappresentati in parlamento lo formano insieme. Rispettando (quasi) sempre una prassi consolidata, che tiene conto dei rapporti di forza tra le varie formazioni politiche, senza bisogno di colpi di mano, infinite consultazioni e claudicanti maggioranze.

2 + 2 + 2 + 1, questa è oggi la proporzione tra gli ingredienti, la ricetta magica della concordanza elvetica: due seggi per il Partito Socialista (di sinistra), due per il Partito Liberale Radicale (la destra economica), due per l’Unione Democratica di Centro (la destra populista ed euroscettica) e uno per il Partito Popolare Democratico (di centro e di ispirazione cristiana). Un cocktail di sensibilità e programmi politici, che funziona non solo a livello nazionale, ma anche locale. I governi di larghe intese - anzi di larghissime intese - in Svizzera sono presenti ad ogni livello, da quello federale, fino a quello cantonale e giù ancora fino a quello municipale. Sempre cercando, caso per caso, territorio per territorio, di rispecchiare la reale forza elettorale dei partiti. Una bella favola, in questa Europa lacerata dalle lotte post-elettorali. In Germania Merkel ci ha messo cinque mesi per trovare un accordo di maggioranza, e infine ci è riuscita con i socialdemocratici di Schulz. Tre anni fa in Spagna non è si è nemmeno riusciti a formare un governo e si è dovuti tornare alle urne sei mesi dopo. E in Italia sappiamo cosa sta accadendo.

A dire il vero anche nella Confederazione elvetica non sono tutte rose e fiori. Per fare un esempio, la formula magica necessita di tempo per adattarsi alla reale rappresentatività dei partiti. Nel 1928 i socialisti erano diventati la formazione più forte del paese, ma dovettero aspettare più di trenta anni, fino al 1959, per avere due ministri. Negli ultimi quindici anni c’è stata inoltre qualche turbolenza. Il partito populista di destra, l’UDC, oggi il più votato in Svizzera, nel 2003 riuscì a soffiare un seggio al Partito Popolare Democratico, che per la prima volta dopo decenni rimase in governo con un solo ministro. Quattro anni dopo, sempre l’Unione si scisse dopo che il parlamento non elesse il candidato proposto dalla dirigenza. L’equilibrio fu rotto per otto anni, ma nel 2015 tutto è tornato alla normalità. Piccoli sussulti, rispetto ai terremoti che scuotono regolarmente mezza Europa.

In Svizzera i cittadini hanno la percezione che a livello istituzionale le cose funzionano, complice anche il sistema di democrazia diretta che permette loro di esprimersi in prima persona su molti temi. Anzi, spesso gli svizzeri guardano alle esperienze politiche dei vicini con malcelato orgoglio per il proprio sistema, che giurano, mai vorrebbero cambiare. Dialogo costante, compromesso, rifiuto del principio maggioranza/opposizione. I politologi la chiamano democrazia consociativa, in contrasto con quella competitiva. Unus pro omnibus, omnes pro uno. “Uno per tutti, tutti per uno”, è il chiasmo scritto sotto la cupola di Palazzo Federale a Berna.

*Giornalista della Radiotelevisione svizzera (RSI)

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