Era una bambina di appena dieci anni Mireille Knoll in quell’estate 1942. A Parigi sventolavano le bandiere naziste. Ma furono i poliziotti francesi, con la collaborazione delle autorità tedesche, a effettuare un rastrellamento di ebrei, nelle prime ore del giorno, il 16 luglio. Più di 13 mila furono catturati e inviati ad Auschwitz: appena qualche decina ritornarono a casa dopo la guerra.

Mireille riuscì a fuggire prima che la polizia facesse irruzione a casa sua, perché la madre se lo sentiva che sarebbe successo. E lei era ebrea, ma aveva un passaporto brasiliano. Fuggirono in Portogallo: scamparono alla retata del Vel’ d’Hiv, il Velodromo d’inverno, dove radunarono gran parte di quei disperati, tanti vecchi e bambini, prima d’infilarli nei convogli diretti in Germania.

Ecco, a 85 anni Mireille viveva ormai in un palazzo di case popolari in piena Parigi. Lì l’orrore, al quale si era sottratta tanti anni prima, l’ha travolta all’improvviso: pugnalata undici volte. Due persone sono state fermate e indagate per l’omicidio a sfondo antisemita.

I figli e i nipoti di Mireille sono subito arrivati da Israele, dove vivono. Hanno raccontato che, dopo essersi salvata in Portogallo, alla fine del conflitto, la donna era ritornata a Parigi. Aveva conosciuto un giovane, sopravvissuto ad Auschwitz, e si erano sposati. Suo marito era morto agli inizi degli anni Duemila. Mireille è stata uccisa venerdì, lo stesso giorno dell’attentato di un islamista nel Sud della Francia.

Nel tardo pomeriggio i suoi vicini hanno chiamato i pompieri, dopo che le fiamme uscivano dal portone del suo appartamento. Il corpo della donna è stato ritrovato martoriato e in parte carbonizzato. Chi l’ha ammazzata ha appiccato il fuoco, subito dopo. Ma perché prendersela con Mireille? Francis Kalifat, presidente del Crif - il Consiglio rappresentativo delle organizzazioni ebraiche di Francia -, ha ricordato che «non c’era niente da rubare a casa di quest’anziana signora. Viveva in condizioni modeste lì da sessant’anni e non aveva soldi, né gioielli». Sabato è stato fermato un suo vicino, un giovane di 29 anni, con precedenti penali per violenze sessuali. Secondo quanto ha scritto la nipote su Facebook il giovane è un musulmano e Mireille lo conosceva da quando ne aveva sette. «Lo considerava come un figlio», ha detto un parente della donna. Ieri anche un amico 21enne del giovane è stato catturato.

La Procura ha aperto un’inchiesta per furto aggravato e anche «per assassinio collegato all’appartenenza della vittima a una religione», sospettando come movente l’antisemitismo. Ovviamente l’inchiesta è solo cominciata. Ma è già emerso che lei aveva da poco denunciato altri vicini che l’avevano minacciata di bruciarla viva. Sì, qualcosa cominciava ad andare davvero storto in quel palazzo.

La tragedia di venerdì ne ricorda terribilmente un’altra. Era la sera del 4 aprile del 2017, praticamente un anno fa. Sarah Halimi, 65 anni, una signora ebrea, viveva a Parigi in un piccolo appartamento di un complesso di case popolari. All’improvviso un vicino, di origini africane e musulmano, fece irruzione da lei, gridando Allah Akbar. La picchiò, dicendole che era il diavolo, per poi gettarla giù dal terzo piano. Ci sono voluti undici mesi perché i magistrati abbiano riconosciuto per quell’omicidio il movente antisemita. Sia Sarah che Mireille vivevano non lontano una dall’altra, nell’undicesimo arrondissement, strano mosaico di vecchie tradizioni popolari, di immigrati e di «bobo», i «bourgeois bohème», tribù urbana fra i fricchettoni e i radical chic. Ma proprio lì negli ultimi tempi sono stati segnalati casi d’intolleranza antisemita. E la presenza di una moschea salafita non ha migliorato di certo le cose.

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