Un tentativo per la conquista di Palazzo Chigi si farà. Anche perché sono già sul campo tutte le premesse necessarie allo sviluppo di una trattativa. Da una parte c’è la «fiducia» reciproca tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, esternata pubblicamente con la benedizione di Beppe Grillo. Dall’altra, rimangono i punti di contatto su cui lavorare per un programma condiviso. I due fattori hanno viaggiato in parallelo nella formazione dell’accordo per le presidenze di Camera e Senato, e con lo stesso metodo potrebbero oggi portare a una spartizione dei ministeri.

Il grande bivio sulla strada delle larghe intese riguarda la presidenza del Consiglio, direzione Centrodestra o M5S. «Chi farà il premier avrà meno ministeri di peso»: questo è il punto di partenza emerso dai primi contatti con i possibili alleati. Poi, i veti incrociati. Da una parte il «no» grillino a possibili ministri di Forza Italia, dall’altra lo stop di Berlusconi alla presidenza del Consiglio a Di Maio.

Il primo obiettivo, sottolineato sulle agende di Salvini e Di Maio, è quindi mantenere l’equilibrio nella spartizione delle poltrone. Poi, ci sarà spazio anche per la riconoscenza e le ricompense. Ma c’è un messaggio che l’ambasciata pentastellata ha inviato ripetutamente al centrodestra negli ultimi giorni: «Alcuni ministeri dovranno avere una linea comune per essere efficienti e quindi non potranno essere lottizzati». Sono due i triangoli ministeriali inscindibili nella mente di Di Maio: «Il primo è per i ministeri di Interno, Difesa e Esteri. E ancor di più per quelli di Economia, Lavoro e Sviluppo economico». Mentre contano sempre meno, nelle alchimie che dovranno tenere in piedi l’alleanza, i nomi dei ministri presentati prima delle elezioni dal leader M5S. «Nessuno è intoccabile», ragionano nel quartier generale pentastellato. E la prima a cadere dovrebbe essere, con ogni probabilità, Paola Giannetakis. La criminologa eletta con i Cinque stelle, lanciata per il ministero dell’Interno targato M5S, è stata abbandonata dai vertici già da tempo, e con maggior convinzione oggi che la poltrona pesante potrebbe finire a Salvini, che non scalpita per andare a Palazzo Chigi. E così, nell’ottica pentastellata dei ministeri indivisibili, la Lega potrebbe anche indicare Guglielmo Picchi per la Farnesina, fautore dell’incontro tra Salvini e Donald Trump e sembrerebbe anche del meeting a Milano con l’ideologo del populismo americano Steve Bannon. Per fare filotto, in lista c’è infine Guido Crosetto al ministero della Difesa in quota Fratelli d’Italia.

Sul secondo triangolo di ministeri economici Di Maio aveva lanciato i turbo-keynesiani Andrea Roventini, Pasquale Tridico e Lorenzo Fioramonti, rispettivamente all’Economia, al Lavoro e allo Sviluppo economico. Nelle trattative partirebbero indietro, però, rispetto agli uomini del centrodestra. La Lega potrebbe indicare al Tesoro Giancarlo Giorgetti (che è anche una delle carte coperte di Salvini per Palazzo Chigi), al Lavoro il forzista Renato Brunetta e allo Sviluppo economico uno tra i due ideologi della Lega, gli economisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi.

E al Movimento 5 stelle? Rimane in lista Riccardo Fraccaro, uscito bruciato dalla corsa per la presidenza della Camera, e che potrà essere consolato con il ministero ai Rapporti con il parlamento e per la Democrazia diretta. Un altro uomo di Di Maio da ricompensare per la sua fedeltà sarà Alfonso Bonafede, a cui il candidato premier M5S aveva assicurato la poltrona del Guardasigilli, oggi contesa dal nome in ascesa della leghista Giulia Bongiorno. Tra i ministri indicati in anticipo da Di Maio, c’è anche qualcuno rimasto nelle grazie del leader. Da Giuseppe Conte, indicato per il ministero della Pubblica amministrazione, al generale Sergio Costa all’Ambiente.

I leader sfogliano le loro liste, annotano nomi, sondano disponibilità (soprattutto al femminile). Ognuno tenendo le proprie carte ben coperte. Tutti in attesa di ascoltare i messaggi che arriveranno dal Quirinale durante le consultazioni. E nessuno che si fidi davvero della fiducia riposta nell’altro.

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