«In Burkina Faso c’è amicizia grande tra cristiani e musulmani: si vive insieme nella concordia, i rapporti sono sereni. Le famiglie sono spesso composte da persone di entrambe le religioni». Così inizia il suo racconto Riccardo Zagaria, sacerdote orionino: 50 anni (21 dei quali trascorsi in Africa), dopo aver diretto ospedali in Togo e in Costa d’Avorio, oggi è alla guida del Centre Medical Don Orione, un centro medico specialistico che sorge alla periferia di Ouagadougou, la capitale. In questo Paese poverissimo del Sahel vivono 16 milioni persone il 40% delle quali è di fede islamica, il 30% di fede cristiana mentre il rimanente è seguace della religione tradizionale.

Gli attentati

«Il 2 marzo scorso un attentato terroristico – rivendicato da un gruppo affiliato ad Al Qaeda – ha colpito la capitale. È il terzo dopo quelli – gravissimi – avvenuti nel 2016 e nel 2017: sono stati tutti duramente stigmatizzati dal popolo, dice il sacerdote: «Purtroppo da qualche anno, in alcune zone settentrionali del Paese – confinanti con il Mali e il Niger (due Paesi fortemente instabili) – sono presenti gruppi di jihadisti, di estremisti islamici: lo Stato si sta impegnando molto per fronteggiarli, forte dell’appoggio della popolazione, la quale vuole continuare a vivere unita e in pace, contenta dell’amicizia tra cristiani e musulmani. I fedeli islamici e gli imam, nel condannare gli attentati, hanno risolutamente affermato che gli estremisti non professano il vero Islam, che è religione di pace e di tolleranza».

Il Centro medico

Ortopedia e oftalmologia sono le specializzazioni del Centro medico che, fondato 15 anni fa dai padri orionini per assicurare assistenza alle persone colpite dalla poliomielite, è diventato un punto di riferimento insostituibile per l’eccellenza delle cure offerte. Attualmente vi sono 60 posti letto, un laboratorio analisi, un deposito farmaceutico e un atelier ortopedico nel quale si costruiscono, con materiali locali, ausili ortopedici, protesi e ortesi. Mediamente ogni giorno vengono assistite 300 persone. I casi di poliomielite sono ormai rari poiché negli ultimi dieci anni lo Stato ha promosso un’imponente e capillare campagna di vaccinazione. Così oggi, mentre nel reparto di oftalmologia si eseguono numerosi interventi di cataratta, in quello di ortopedia si offrono cure, sostegno e riabilitazione a quanti, per le più varie ragioni, hanno handicap e difficoltà motorie, inclusi i molti bambini colpiti da infermità motoria cerebrale (che insorge dopo parti difficili, assai frequenti).

La sofferenza

La convivenza tra i pazienti cristiani e musulmani è esemplare, racconta padre Riccardo: «È commovente vedere come si aiutano e si sostengono vicendevolmente. La sofferenza non porta solo avvilimento e dolore: essa genera uno sguardo benevolo sulla vulnerabilità dell’altro, accende complicità forti e profonde amicizie. Ciò accade non solo tra i pazienti, ma anche tra tutti noi che li curiamo».

Il bene dei malati

Nel Centro – accanto al quale sorge il Villaggio dell’Accoglienza per i malati (e i loro familiari) provenienti dalle località più lontane – lavorano 26 persone, sia cristiane che musulmane e i rapporti sono ottimi: c’è grande spirito di squadra, sottolinea il sacerdote: «Lavoriamo uniti pensando al bene dei malati, che vanno accolti, serviti, amati. Il responsabile dell’atelier ortopedico, Bebane Yacouba, fervente musulmano, è un caro amico: come per me, anche per lui servire i malati è servire Dio, fare il bene è un modo di obbedire a Lui».

Ridare la vita

Bebane Yacouba ha 37 anni, è sposato e padre di un bambino: nell’atelier costruisce apparecchi ortopedici di sostegno, protesi, scarpe e corsetti ortopedici: «Mi piace moltissimo il mio lavoro», dice. «Consentire di camminare a una persona che, ad esempio, ha subìto l’amputazione di gamba ed è giunta qui al Centro scoraggiata e priva di speranza, è come donarle di nuovo la vita: è un’esperienza che dà felicità profonda». E a riguardo della convivenza con i padri orionini e i colleghi cristiani, afferma: «Sono contento di lavorare in questo Centro: mi sento sereno, appagato, rispettato: si vive come in una famiglia. Siamo legati da stima e rispetto reciproci e ci impegniamo insieme a servire i malati e i disabili con amore e spirito di accoglienza. Qui ognuno può vivere liberamente la propria fede: ad esempio, al venerdì ho sempre potuto assentarmi per andare in moschea a pregare». Bebane definisce le relazioni tra cristiani e musulmani in Burkina Faso «buone, basate su una vera accettazione dell’altro». In questo Paese, dice, «si cresce insieme sin da piccoli. Io ho molti amici cristiani».

Rispetto della dignità

Anche in Burkina Faso, come in altri Stati francofoni dell’Africa, la sanità pubblica è a pagamento e moltissimi malati non riescono a far fronte alle spese: nel Centro dei padri orionini i pazienti (che continuano ad aumentare al punto che si pensa di ampliare il reparto di medicina e di costruire quello di maternità e pediatria) pagano invece solo una cifra simbolica: «La nostra struttura si regge grazie alla generosità di molti benefattori », spiega padre Riccardo. «Desideriamo però che i nostri assistititi partecipino, se pure in misura molto limitata, alle spese per rispettare la loro dignità: desideriamo che un malato possa provare la soddisfazione di aver contribuito in qualche modo alla propria guarigione».

La malattia non è castigo divino

Purtroppo in Burkina Faso la disabilità è causa di forte emarginazione, osserva il sacerdote che da anni, insieme ad alcune associazioni, ai suoi collaboratori e ai cinque confratelli residenti nella capitale, lavora anche per promuovere i diritti (ad esempio quello all’istruzione e al lavoro) dei portatori di handicap: «La nostra non è un’impresa facile; occorre cambiare la mentalità delle persone che spesso considerano non solo l’handicap, ma ogni malattia, un castigo divino. Ci spendiamo molto per correggere questa distorta immagine di Dio, per far comprendere a tutti (cristiani, musulmani, seguaci della religione tradizionale) che Dio non è mai complice del male, che vuole solo il bene dell’uomo e non lo punisce con malattie e infermità».

Prostrati dalla povertà

Nel Centro – nel quale per alcune settimane all’anno prestano servizio a titolo gratuito numerosi medici europei – si curano anche molti casi di malaria (assai diffusa), e di dissenteria, colera e tifo, tre patologie che si presentano ciclicamente in forma epidemica a causa delle precarie condizioni igieniche nella quali vive la maggior parte della popolazione. «Nei villaggi le case sono costruite con paglia e fango, manca la luce, l’acqua utilizzata è spesso quella degli stagni perché mancano i pozzi», racconta padre Riccardo. «Questo Paese ha un suolo per lo più molto arido e un clima particolarmente ostile: piove solo da giugno a settembre e spesso la violenza dei rovesci provoca inondazioni. I burkinabé sono prostrati dalla povertà. Molti decidono di emigrare: quattro milioni vivono in Costa d’Avorio, tre in Ghana».

Un futuro di pace

Bebane, pensando al futuro del proprio Paese, afferma: «Sono convinto che la buona convivenza tra cristiani e musulmani possa giovare allo sviluppo di questa terra. Le religioni, nessuna delle quali insegna il male, devono unire le persone per aiutare tutti a migliorare e a progredire. Mi auguro e lavoro con impegno affinché nel mio Paese si possa continuare a vivere in pace, senza tensioni né attacchi terroristici». Le persone sinceramente religiose (di religioni diverse) che vivono e lavorano insieme nella concordia – conclude padre Riccardo – «possono mostrare al mondo che la tolleranza e il rispetto autentico del diverso sono possibili».

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