Se avete in mente il celebre valzer Sul bel Danubio blu di Johann Strauss, appena arrivate a Budapest rimarrete un po’ delusi: in questa stagione, complice anche il cielo coperto, le acque del grande fiume che attraversa la capitale ungherese sono più sul grigio cupo che non sul blu. Però basterà varcare le porte di uno dei tanti e sorprendenti bagni termali «fin de siècle» che costellano la città (e ne costituiscono una delle maggiori attrattive) per ritrovare il colore blu dell’acqua e magari il benessere fisico necessario per salire a piedi sulla collina di Buda. Vale la pena di farlo sia per vedere il Palazzo Reale che risale al 1300 (oggi ospita la Galleria Nazionale ungherese: un centrifugato della storia dell’arte del Paese) sia per godere di uno splendido panorama sul fiume e Pest: la città attuale nasce infatti nel 1873 dall’unione di Obuda e Buda, alte sulla collina e i cui primi insediamenti risalgono ai Celti e ai Romani (per loro questa fu la capitale della Pannonia inferiore) e Pest sul lato opposto del Danubio. Per scendere senza stancarsi si può usare la piccola teleferica che dal piazzale del palazzo porta in riva al fiume.

Imperiale

La prima sensazione che hai girando per Budapest, soprattutto se come me ci arrivi per la prima volta, è di essere in un universo double-face: da un lato c’è il fascino di una città che è stata capitale di un impero e ha visto susseguirsi mongoli, turchi e austriaci: lo percepisci dalle architetture monumentali del centro (piazza degli Eroi) e dallo sfarzo di palazzi (il Parlamento ad esempio, che è per grandezza il terzo al mondo e ha colonne e arredi talora ricoperti di foglie d’oro), chiese (Mattia, che fu anche moschea) e sinagoghe. Dall’altro c’è quella malinconia che non sai se attribuire al carattere dei suoi abitanti o al fatto che, nonostante la caduta del Muro sia ormai un ricordo di quasi trent’anni fa, il marchio di fabbrica del comunismo reale ha lasciato la sua impronta (atterrando dall’aereo vedi quartieri di case frutto dei programmi di edilizia popolare che hanno cementificato le periferie di tutte le città di quello che si chiamava il Patto di Varsavia).

Come in tutti i posti dove non sei mai stato però il bello non è solo cercare di vedere cosa ti consigliano le guide (se non sei un giapponese rinunci in fretta all’idea di vedere tutto in un weekend) ma anche abbandonarti a bighellonare per le strade inseguendo magari l’interesse per la gastronomia o quello per la fotografia. Nel primo caso puoi andare per mercati, caffè e ristoranti. Il punto di partenza potrebbe essere in questi giorni la piccola fiera di street food che c’è dietro la piazza dove campeggia la grande ruota panoramica (a Budapest di sicuro non hanno avuto le remore che hanno impedito di costruirla a Torino) e dove si affacciano hotel famosi come il Kempinski e il Ritz-Carlton. Appena ci metti piede sei aggredito dal profumo (o dall’odore) di fritto e di dolce e scopri che a Budapest, quanto al cibo, non esistono solo goulash (la famosa zuppa dei mandriani dove la carne si mescola con carote, patate e soprattutto paprika, ma c’anche l’halasze una sorta di goulash di fiume con carpe e pesce gatto) e le palacinche (le crêpes mitteleuropee). In grandi padelle si cuociono i langos, pizze fritte che servono da base per formaggi, verdure e altro ben di Dio. Donne robuste stendono invece la pasta, per ottenere una sottile sfoglia zuccherata che viene arrotolata intorno a grandi tubi per i kurtskalacs, sorta di enormi cannoli ricoperti poi da cacao, cioccolata in scaglie, cannella, papavero, noci, vaniglia e mandorle in base alle proprie preferenze.

I mercati

I mercati coperti di Budapest sono sovente in strutture ottocentesche o di primo ’900 che hanno a pian terreno i banchi alimentari e in una sorta di balconata quelli di abbigliamento (nei più turistici qui si vendono i souvenir). C’è il Mercato Centrale dove ci si perde tra l’esplosione di peperoncini, prosciutti e carni affumicate e dove ti colpiscono gli acquari con le carpe vive (sono tenuti al buio) o i banchi con i prodotti fermentati e i barattoli di cetrioli che compongono un sorriso. Famoso anche quello di via Hold da poco ristrutturato che ospita ristorantini e street food (qui lunedì scorso hanno cucinato gli chef venuti a Budapest per la presentazione della guida Michelin delle città d’Europa). Ci sono anche mercati periferici dove tra patate vintage e banchi «poveri» un flash da tempi del comunismo reale è quasi inevitabile.

Il mercato al coperto

Non ci sono solo mercati e street food, e una sosta gourmet vale la pena di farla al Costes, l’albergo che vanta ben due ristoranti stellati, i cui piatti si possono accompagnare con i vini locali (l’Ungheria è certo «terra di acque» come recita lo slogan dell’ufficio del turismo, ma anche terra di vini, in primis il tocai). Se però preferite mescolare il piacere della pasticceria a quello dell’architettura dovete fare un salto al Cafè New York, dove si possono tra l’altro gustare strepitose tartellette al limone, in un ambiente di specchi e stucchi ascoltando una colonna sonora che va dai Beatles alle antiche musiche ungheresi. Potete anche se volete mangiare in uno dei tanti battelli ancorati sul fiume o prenderne uno di quelli non ancorati e fare un giro con la guida che vi spiegherà vita, morte e miracoli di ciò che è stato nei secoli costruito sulle rive.

Anche se non amate la fotografia è d’obbligo una visita al Robert Capa Center. Il celebre fotografo fondatore della Magnum era infatti nato qui (Endre Ern Friedmann il suo vero nome) e grazie alle sue immagini, al suo sguardo ironico e al suo coraggio capirete qualcosa di più dell’anima di questa città.

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