I fustigatori no-stop di Papa Francesco si danno di gomito ripetendo che il pontificato argentino è «in affanno». Anche molti laudatores di un tempo scuotono il capo, ruminando delusione. Alzano il ditino da professoroni. Denunciano deficit di “teste mozzate”. Stigmatizzano lentezze e titubanze nel risolvere coi suoi “superpoteri” tutti a mali nella Chiesa. Qualcuno tira fuori l’agendina ultra-liberal che aveva immaginato di cucire sul Papa e lamenta che, a tutt’oggi, non se n’è fatto niente. Anche commentatori e analisti si allineano ai nuovi umori. Prima cantavano la «rivoluzione» del Papa. Ora si applicano con toni gravi e pensosi a disegnare bilanci provvisori in rosso per il pontificato in corso. Raccontano gli anni di Bergoglio secondo i format narrativi utilizzati per le performances – fallimentari o di successo – dei capitani d’azienda. I tormentoni mediatici sollevati intorno ai Papi che “deludono” sono un fenomeno ricorrente, che ha segnato anche le ultime stagioni ecclesiali.

“Delusioni” papali

A volte, i “delusi dal Papa” rinfacciano al Successore di Pietro di non aver mantenuto le promesse di aperture e “modernizzazioni” che gli erano state attribuite. Paolo VI soffrì nella carne i rinfacci di aver tradito e “normalizzato” il Concilio Vaticano II. Il pontificato di Pio IX fu circondato all’inizio dalle attese messianiche di chi sperava che grazie a lui si sarebbero realizzati i cambiamenti attesi nello Stato pontificio, e che più tardi lo avrebbe bollato come «il Papa del Sillabo», il campione della reazione anti-moderna. Più di recente, anche Papa Ratzinger deluse gli strateghi da tastiera che gli avevano idealmente caricato sulle spalle un programma di rifondazione identitaria, un disegno di «rivoluzione papale» volta a omologare gli organigrammi e i registri ecclesiali all’ideologia muscolare delle battaglie culturali. Mentre l’alto clero di quegli anni combinava disastri tracimati in Vatileaks, Benedetto, invece di dar battaglia, davanti agli scandali della pedofilia osò addirittura dire che quei crimini del clero «avevano oscurato la luce del Vangelo a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione» (Lettera ai cattolici d’Irlanda, n. 4). Un tono penitenziale che per certi “ratzingeristi di battaglia” equivaleva ad una resa incondizionata, ad una diserzione.

Oggi, accanto alla schiera dei denigratori militanti del pontificato corrente, si fa largo anche quella degli accigliati “osservatori” di cose vatican-ecclesiastiche che prima hanno alimentato il feticcio mondano del Papa-superstar, eroe solitario e taumaturgo, e ora gli rimproverano ritardi e scarsi risultati nell’opera di ricapitalizzazione della “ditta-Chiesa”. In realtà, come accadde già in passato, anche stavolta il venir meno delle retoriche celebrative conformiste può rappresentare un passaggio salutare e perfino necessario per riscoprire di cosa vive e da quali mani è plasmato momento per momento il mistero della Chiesa. Quello che anche Papa Francesco continua a suggerire giorno dopo giorno, nel cammino del suo pontificato.

«Senza di me non potete far nulla»

Nel suo viaggio in Cile, parlando al clero di una Chiesa ferita e castigata anche per i peccati e i crimini di alcuni suoi alti esponenti, Papa Francesco ha riproposto le «ore dello smarrimento e del turbamento» vissute dai primi amici di Cristo dopo la sua morte in croce, solo per ripetere che proprio in ore del genere «nasce l’apostolo». Anche davanti a Pietro, che lo rinnega e vede fallire i suoi propositi di fedeltà, «Gesù - ha detto il Papa - non usa né il rimprovero né la condanna. L’unica cosa che vuole fare è salvare Pietro. Lo vuole salvare dal pericolo di restare rinchiuso nel suo peccato, di restare a “masticare” la desolazione frutto del suo limite; dal pericolo di venir meno, a causa dei suoi limiti, a tutto il bene che aveva vissuto con Gesù».

L’esperienza del proprio limite, del proprio peccato accarezzato e perdonato da Cristo - ripete Papa Francesco - distingue i cristiani dai seguaci di idee e verità religiose o dai militanti di cause giuste. Allo stesso modo – suggerisce l’attuale Successore di Pietro, con la sua predicazione - ogni volta che la Chiesa viene costretta dai fatti a mettere da parte la pretesa mondana di auto-generarsi, di auto-purificarsi e di gestire con vere o presunte competenze “manageriali” la sua presenza nella storia, proprio tale dinamica può aiutare tutti a riconoscere il mistero di grazia che la genera e la tiene in vita, istante per istante.

Papa Francesco ha usato più volte l’immagine del «tramonto dell’apostolo», per ripetere che la grandezza di ogni discepolo sta nel fare con la vita quello che Giovanni il Battista diceva di Cristo: «È necessario che lui cresca e io diminuisca». Ogni vero apostolo – ha ripetuto Bergoglio in un’omelia di Santa Marta – è colui che «dà la vita perché il Signore cresca. E alla fine c’è il tramonto». L’attuale Vescovo di Roma ha voluto suggerire con vena umoristica che la stessa dinamica può essere colta e valorizzata perfino in tanti incidenti e “fallimenti” registrati nella compagine ecclesiale: «Il Signore è buono - ha ripetuto Papa Francesco durante la sua visita pastorale a Milano - e quando una congregazione religiosa non va per la strada del voto di povertà, di solito le manda un economo o un’economa cattiva che fa crollare tutto. E questo è una grazia».

Le delusioni e i mancati exploit rinfacciati anche all’attuale Vescovo di Roma arrivano da chi non lo prende sul serio, ogni volta che lui ripete di esser solo un peccatore amato e perdonato da Cristo. Le seriose analisi sulle “aspettative non realizzate” del pontificato non colgono che proprio la confessione serena dei propri limiti, o il sottrarsi a ogni caricatura “messianica” discendono dal prendere atto che la Chiesa non è una realtà pre-costituita e auto-sufficiente, ma dipende in ogni passo dall’azione efficace e presente di Cristo. Un riconoscimento che aiuta anche a dribblare trionfalismi clericali sempre in agguato.

Antidoti alle idolatrie clericali

Se la Chiesa «non possiede altra vita se non quella della grazia» (Paolo VI, Credo del Popolo di Dio), questo suo tratto genetico aiuta anche a discernere i tentativi di riformare le sue strutture e le sue forme storiche, affinché rendano sempre più trasparente il mistero che la fa vivere.

Le autentiche riforme nella Chiesa – lo insegnava Yves Congar – seguono il criterio primario di rendere più facile il cammino dei fedeli, e non quello di avere plausi dagli esperti di marketing aziendale e gestione delle risorse umane. Per questo di solito avvengono lentamente, senza fanfare, con discrezione. Per processi osmotici, per imitazione, e non in forza di progetti calati dall’alto. Per questo gli effetti dei tentativi di riforma vanno valutati in maniera realista e artigianale, senza dogmatismi e rigidezze da partito preso. Lasciando aperta la possibilità di cambiare le cose, o aggiustarle in corso d’opera, quando magari ci si accorge di aver sbagliato strada.

L’approccio flessibile alle innegabili esigenze di riformare il corpo ecclesiale, anche nei suoi aspetti istituzionali (Ecclesia semper reformanda) è il più rispettoso dalla natura stessa della Chiesa. E funziona da antidoto al neo-clericalismo che pretende di costruire una compagine ecclesiale auto-sufficiente, avvezza a auto-emendarsi dai suoi mali e a mettere a posto le cose con operazioni di ingegneria sociale e di “management” pastorale. Cioè occultando e rimuovendo la propria dipendenza dal «mistero e dall’operare della grazia» (Charles Péguy).

Soluzioni provvisorie

Nell’attuale stagione ecclesiale, molti di coloro che si percepiscono come “élite pensanti” dentro e intorno alla Chiesa continueranno a giocare stancamente con i simulacri “bergogliani” che riempiono il proscenio dei media: quello del Papa superstar, grande riformatore chiamato a aggiornare la Chiesa per attrezzarla al mondo, e quello del Papa “irregolare” portatore di stress.

Per quelli che invece vogliono seguire il Papa in carne e ossa, e camminare con lui nella semplice fede degli apostoli, conviene liberarsi delle zavorre, alleggerire lo zaino e procedere lungo altre vie. Quelle del suo magistero ordinario day by day, delle omelie quotidiane, delle catechesi, di tutte le parole papali che spesso vengono oscurate dalle voci e dai rumori dominanti nel flusso dell’informazione vaticana e ecclesiale.

4/Continua

LEGGI ANCHE - Cinque anni di Papa Francesco e quel discorso sul “Mistero della Luna”

LEGGI ANCHE - Le due bande di chierici e lo “storytelling papale”

LEGGI ANCHE - La “Chiesa senza specchi” e il virus dell’introversione ecclesiale

I commenti dei lettori