La Pontificia Università Urbaniana, l’“Università delle missioni” e delle periferie del mondo, è sul Gianicolo, affacciata sul Vaticano, come una terrazza sulla Roma del ‘500. Le cronache raccontano che quando nel 1933 il Collegio Missionario di Propaganda Fide inaugurò questa nuova sede, l’imponenza della costruzione richiamò molte critiche. Polemiche in tono con i tempi di malcelata insofferenza verso gli Istituti e i Collegi religiosi che, dissolto lo Stato Pontificio (1870), furono ridimensionati o chiusi a furor di popolo, in nome della conquistata laicità.

Gli edifici che oggi ospitano l’Urbaniana sono moderni, adeguati alle nuove prospettive missionarie dei giovani «viandanti della fede». Ecco i numeri degli aspiranti missionari, o che già lo sono: 1230 studenti, per il 50 % borsisti della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e di altre Congregazioni, 112 laici, 109 nazionalità, il 37% dall’Africa, quota analoga dall’Oriente (dalla Siria fino al Giappone passando per l’India), costo annuale d’iscrizione da 700 fino a 800 euro.

«Ogni giorno, nel mio studio entrano studenti e professori da tutto il mondo, e ogni volta mi sembra di ridisegnare , passare a memoria la geografia del pianeta», racconta il rettore Leonardo Sileo, dell’Ordine dei frati minori, alla guida dell’Ateneo dall’agosto dello scorso anno. Studenti che Sileo descrive più motivati rispetto al passato, consapevoli della fede, del loro impegno e del privilegio di studiare a Roma. Attiguo all’Università c’è l’archivio di “De Propaganda Fide”: lì è concentrata la storia dell’evangelizzazione a partire dal 1600, attraverso lettere, cartine geografiche, documenti e relazioni che i missionari inviavano alla Santa Sede da quei mondi lontani e rischiosissimi, per aggiornare Roma sullo stato delle cose. L’archivio è anche la storia della Pontificia Università Urbaniana, nata nel 1624 ed eretta a Pontificia della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli da Papa Giovanni XXIII nel 1962. La Facoltà di Missiologia (160 studenti) resta la loro credenziale, il biglietto di presentazione, anche se la Gregoriana ha la stessa Facoltà, ma con una trentina di studenti non è competitiva.

Ma cosa significa essere missionari in un mondo globalizzato dove non c’è angolo sulla Terra in cui la parola cristianesimo risulti del tutto estranea? Vuol dire una Chiesa che «cura con la grazia di Dio le ferite delle anime e dei corpi», come dice Papa Francesco; una Chiesa che risponde alle domande profonde di quell’umanità lontana, che sono domande esistenziali, di prospettiva, interrogativi sul senso della vita lì dove la vita vale poco, minacciata da guerre, catastrofi naturali, epidemie o moderne malattie come l’Aids. Risposte che devono essere più convincenti di quelle che propongono le sette religiose o pseudo tali, che spopolano a ritmi rapidissimi in quelle latitudini. Offrire soluzioni religiose ma anche concrete, a quei giovani pronti ad affrontare viaggi infiniti verso l’emisfero ricco, con un interrogativo martellante: «Perché loro hanno tutto e noi no?». E la missione nel mondo globale richiede sapienza, fondamentali filosofici, teologici, culturali, e anche pratici.

La Facoltà di Teologia con i 500 studenti, è tutt’altro che poco frequentata, e anche quella di Filosofia, terreno piuttosto asfittico dovunque, resiste con i suoi 200 studenti. E comunque da dieci anni il numero degli iscritti si mantiene stabile e il sintomo di quel calo di vocazioni che allarma la Chiesa (qui lo avvertono poco) contando quasi del tutto su giovani del Sud del mondo. Giovani studenti ma anche professori che per un semestre, a rotazione, ogni anno, arrivano dai 103 Istituti affiliati nel mondo (Facoltà, Università, Scuole religiose che fanno riferimento alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli), dall’Asia, all’Oceania, dalle Americhe al Medio Oriente, per aggiornare sapere e orizzonti. Ora è in atto un altro esperimento, frutto di un’intuizione semplice ma molto efficace che spiegano così: essendo l’Università laboratorio di pensiero e di cultura, perché non far conoscere il cristianesimo ai non cristiani , in versione “autentica”, al netto di retaggi storici e di propagande contrarie?

La Summer School per musulmani, ma anche buddisti ed ebrei, in maggioranza laici, professori di Università laiche e non, studenti, manager, diplomatici, dall’Egitto, Malaysia, Kosovo, Cina, Israele, è un atto eccentrico, raro in questo affollato e conforme panorama romano di accademie religiose. E intrecciare i fili, creare contatti con quei mondi è lavoro molto complesso e difficile , ogni tanto si fallisce ma più spesso si vince. È il caso di un docente della Università Al Azhar del Cairo che folgorato dalla “nuova” versione del cristianesimo ha scritto un manuale per i suoi studenti egiziani. «Questa è la vera Università Cattolica, di tutto il popolo di Dio, un popolo fatto di differenze», dice Sileo, «qui si realizza l’incontro di più Chiese e di più realtà. Che coincide con quanto chiede la nuova Costituzione Apostolica, pluralità e apertura al mondo».

La Veritatis Gaudium, la Costituzione apostolica presentata il 29 gennaio per il “riordino “ delle Facoltà e delle Università Pontificie, è la “rivoluzione culturale” a cui tutte dovranno conformarsi entro gennaio del 2019, con nuovi curricula, maggiore collaborazione tra gli Istituti, una semplificazione del sistema con occhio più attento sia alla qualità che agli sprechi. La qualità dell’insegnamento sarà verificata ogni cinque anni da un ente autonomo, l’Avepro (Agenzia per la Valutazione e la Promozione della Qualità), ma per il rettore Sileo non è sufficiente: «Mi sarei aspettato la creazione di un albo dei professori, una verifica più puntuale dei titoli scientifici, i concorsi, come dovunque. Abbiamo sì o no sottoscritto una dichiarazione internazionale (il Processo di Bologna per lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore) che prevede per tutti lo stesso sistema?».

La qualità degli insegnamenti delle Università e degli Istituti collegati rischia di essere proporzionale alla loro recente proliferazione, che è quanto accade anche nelle nostre Università statali. Il ragionamento è aritmetico: più aumenta il numero dei docenti, più bisogna arrivare in fondo al vivaio per il loro reclutamento. Sette Università Pontificie a Roma, significano sette Facoltà di Filosofia, di Teologia e di Diritto, ma le cifre sono ancora più consistenti se si mettono in conto, sempre nella sola Capitale, anche gli Atenei, le Facoltà (si chiamano così gli Istituti con una sola Facoltà). E poi c’è la moltiplicazione in anni recenti degli Istituti superiori religiosi, da nord a sud dell’Italia, che se da un lato contribuisce ad ampliare il dibattito culturale, dall’altro un’offerta così ampia solleva dubbi sulla qualità.

D’altronde è forte l’ambizione di ogni Congregazione a “costruire” il proprio Istituto di studi, vuol dire influire nel contesto teologico, culturale, filosofico, avere autorevolezza culturale, inserirsi nel dibattito globale con il plurale maiestatis: «il nostro punto di vista è questo». Ma la direttiva della nuova Costituzione è di procedere in fretta con la semplificazione, e il tempo stringe.

LEGGI ANCHE - L’Università Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione

I commenti dei lettori