Terra, abitazione e lavoro, “tierra, techo y trabajo”, è il titolo del primo incontro con i Movimenti Popolari sudamericani, tenuto da Papa Francesco in Vaticano nell’autunno del 2014. Un incontro che affrontava di petto la situazione di inaccettabile sfruttamento e povertà estrema in cui vivono, a tutt’oggi, i diseredati dell’America Latina ed anche di tante altre parti del mondo in via di sviluppo. Una situazione che solo alcuni anni fa, veniva ancora sentita, dall’Occidente economicamente avanzato, come una condizione intollerabile con la quale solidarizzare e per la quale, magari mobilitarsi, ma che non lo riguardava direttamente. Tutto ciò nell’illusione della sicurezza che uno Stato sociale, pur ammaccato e in via di smantellamento continuava, comunque, a trasmettere.

Ancora non si riusciva a percepire a pieno quell’impoverimento di massa del ceto medio che la globalizzazione ha comportato, e comporta, anche nei Paesi ad economia avanzata: un impoverimento che ha messo, e mette, in discussione anche status e diritti fondamentali dati per acquisiti come l’abitazione ed il lavoro. La scelta di Papa Francesco di focalizzare sulle “tre T” di terra, casa e lavoro l’attenzione dell’opinione pubblica risulta dunque, nella situazione odierna, più che mai attuale - ben aldilà del pur vasto orizzonte latinoamericano - anche per i Paesi ad economia avanzata.

A lanciare l’allarme sul pericolo incombente che il problema del “tetto” possa, a breve, esplodere con violenza dirompente nella situazione italiana - che sta cominciando appena ad uscire, faticosamente, da una depressione decennale - è stato, nei primi giorni di marzo, il direttore della Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti che scrive: «Ogni giorno ci troviamo a ricevere famiglie che temono di perdere la casa o l’hanno già persa. Sono persone del ceto medio, che in seguito alla crisi economica, non sono riuscite più a pagare i mutui che avevano contratto. Fino ad ora avevano negoziato con le banche, ma ora gli istituti di credito, per ottemperare alle nuove regole, hanno dovuto cedere i crediti in sofferenza a grossi gruppi internazionali che si affidano per la riscossione ad agenzie senza scrupoli. Il rischio concreto è che queste persone, non riuscendo a farsi fare più credito legalmente, pur di non perdere l’abitazione ricorrano alle vie illegali: quelle dell’usura».

«Le nuove regole internazionali, infatti, - prosegue Gualzetti - costringono le banche italiane a vendere velocemente i crediti deteriorati che hanno in pancia Npl (No Performing Loans). Avendo poco tempo a disposizione per liberarsene, gli istituti di credito italiani sono costretti a svenderli ad un prezzo che va dal 20% al 10% del loro valore. Gli acquirenti, in genere grandi gruppi internazionali in grado di agire senza troppi controlli, si rivalgono sui creditori. Il meccanismo fino ad ora ha riguardato i crediti delle imprese. Adesso si sta passando ai crediti residenziali in mano alle famiglie. Sarebbero 700mila le persone coinvolte. La situazione rischia di far esplodere il credito usuraio».

Una preoccupazione, questa rappresentata dal direttore della Caritas ambrosiana, che trova ampie motivazioni nella Dottrina Sociale della Chiesa e nel modo in cui quest’ultima pone il diritto all’abitazione tra i primari diritti dell’uomo. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa recita, infatti: «Le esigenze del bene comune derivano dalle condizioni sociali di ogni epoca e sono strettamente connesse al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali» (Compendio n.166). Tali esigenze riguardano anche - ribadisce il Compendio - «la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell’uomo» (n. 166). Tra questi “diritti dell’uomo” viene citato, in primissima battuta, assieme al diritto all’alimentazione ed al lavoro anche il diritto all’abitazione.

A questo punto diventa indispensabile domandarsi che cosa ci sia esattamente dietro a questa grave minaccia che incombe sul nostro sistema immobiliare. Bisogna, capire come e da dove nasca questo nuovo pericolo che rischia di abbattersi disastrosamente sulla lenta e faticosa ripresa italiana. Va messo bene a fuoco in cosa consistano queste «nuove regole internazionali» di cui Gualzetti parla.

Scopriremo allora che a determinare questa grave situazione è stata una iniziativa unilaterale, voluta ed attuata esclusivamente dalla vigilanza della Bce, che, dal 2018, impone la svalutazione al 100%, dopo 2 anni, per i nuovi crediti deteriorati non garantiti e dopo 7 per quelli garantiti. A monte di questa impostazione non c’è stata, dunque, alcuna iniziativa politica della Commissione Europea, del Parlamento Europeo o del Consiglio Europeo. Cioè di nessuna di quelle Istituzioni, che, pur non essendo legittimate (tranne il Parlamento) da alcuna elezione diretta sono, comunque, “in senso lato” istituzioni politiche.

Un fatto, quest’ultimo, talmente eclatante da determinare una polemica forte - ed inconsueta per un ambiente come quello di Bruxelles a prevalente trazione tecnocratica – soprattutto con il Parlamento Europeo che ha criticato pesantemente la vigilanza della Bce rimarcando che essa, con questa sua iniziativa, va ad arrogarsi, di fatto, il ruolo di legislatore sul tema dei crediti deteriorati. Un ruolo che, in nessun modo, spetta alla Banca Centrale che sembra essere andata ben oltre il proprio ruolo di vigilanza e le proprie competenze stabilendo criteri, norme di comportamento, e sanzioni tutti di carattere generale e validi “erga omnes” e, dunque, di esclusiva spettanza del potere legislativo.

Dopo l’uscita, il 15 marzo scorso, dell’ultimo addendum Bce che fissa ulteriormente le regole per le banche sui crediti deteriorati, nel corso di una audizione della Commissione sui problemi economici e monetari del Parlamento Europeo, ha avuto luogo un duro confronto con Danièle Nouy presidente del consiglio di vigilanza della Bce. In quella sede è emerso - e non si può non considerare tale fatto inquietante! - che neppure la Vigilanza, cioè la stessa autorità che li ha elaborati è in grado di stimare il possibile impatto di questi provvedimenti sull’economia reale. La stessa Nouy, nel corso dell’audizione, ha infatti candidamente dichiarato al riguardo, incalzata dalle domande, che «l’analisi d’impatto è inutile se non del tutto infattibile».

Un atteggiamento che uno dei membri della commissione parlamentare, l’eurodeputato Marco Valli, ha così commentato: «È gravissimo che la vigilanza europea abbia adottato un cambiamento di approccio così invasivo sulla gestione dei crediti deteriorati, senza preoccuparsi di valutare le possibili ripercussioni negative sui prestiti e sull’economia reale, nonché l’impatto potenzialmente destabilizzante sui sistemi bancari più esposti sul credito come quello italiano… Le cosiddette aspettative di vigilanza descritte nell’addendum di fatto forzeranno le banche sia a richiedere sempre maggiori garanzie alle Pmi prima di erogare un prestito, sia a dismetterli (i crediti deteriorati) sul mercato a prezzi di sconto, piuttosto che ristrutturarli».

Conseguenze negative di questa impostazione della vigilanza Bce sono sia il rischio di una nuova stretta creditizia ai danni delle famiglie e delle piccole imprese, sia il forte rischio di nuove speculazioni sugli insolventi. Il mercato per l’acquisto a prezzi stracciati degli Npl è infatti, ad oggi, quasi inesistente e dominato da pochi compratori, soprattutto esteri, prontissimi a speculare attraverso una gestione esterna, fin troppo disinvolta, sul recupero crediti.

È particolarmente significativo che, addirittura, lo stesso Sole 24 Ore commenti l’uscita dell’ultimo addendum della vigilanza Bce sui crediti deteriorati affermando: «Una sequenza di regole focalizzate sugli Npl, ormai diventati la nuova ossessione europea in materia bancaria che rende più complessa l’erogazione del credito a imprese e famiglie e quindi alla crescita economica. Obbiettivo che per i vari regulators europei sembra secondario rispetto alla riduzione dei rischi bancari».

Su queste modalità di azione unilaterale, e sulle profonde inquietudini che esse legittimamente suscitano, è più che mai necessario far riferimento alla Dottrina Sociale della Chiesa per una corretta valutazione della situazione in questione e della sua gravità per le implicazioni non solo concrete ma, anche etiche, che essa comporta.

La Dottrina Sociale su questo punto è chiarissima: «La responsabilità di conseguire il bene comune compete, oltre che alle singole persone, anche allo Stato, poiché il bene comune è la ragion d’essere dell’autorità politica» (Compendio n 168). Per specificare poi ulteriormente che: «Per assicurare il bene comune, il governo di ogni Paese ha il compito specifico di armonizzare con giustizia i diversi interessi settoriali. La corretta conciliazione dei beni particolari di gruppi e di individui è una delle funzioni più delicate del potere pubblico» (n 169).

Una impostazione sintetizzata con forza incisiva da Papa Francesco quando afferma, senza mezzi termini, nella Evangelii Gaudium: «Il denaro deve servire e non governare» (EG n 58).

* Analista politico

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