«Pace e fratellanza» insieme alla «buona volontà di conoscersi e rispettarsi reciprocamente», come «strada che porta a una vera integrazione». Questo l’auspicio di Papa Francesco rivolto questa mattina, dopo la preghiera del Regina Cæli, ai popoli rom e sinti che oggi celebrano la loro Giornata Internazionale, il “Romanò Dives”. Una rappresentanza era presente, stamane, in piazza San Pietro accompagnata dalla Comunità di Sant’Egidio.

Un altro nutrito gruppo di Rom e Sinti, insieme agli operatori incaricati della loro pastorale, si trova invece a Banneaux, in Belgio, per l’incontro annuale del CCIT (Comité Catholique International pour les Tsiganes) che ogni anno riunisce circa 150 volontari, religiosi e laici, che si prendono cura dei gitani nei loro Paesi.

“Pietà popolare, culto e devozione” è il tema scelto per l’edizione 2018. A tutti i partecipanti è giunto il messaggio del cardinale Peter Appiah Turkson, prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale, in cui il porporato invita a «fare discernimento pastorale per sostenere e favorire e, se necessario, purificare e rettificare il senso religioso di quelle forme di pietà, di devozione e di culto popolare che possono aiutare i rom, i sinti e altri gruppi gitani, a progredire nella conoscenza di Cristo e della Chiesa».

«Il popolo gitano non solo vive le varie espressioni della pietà popolare attraverso l’arte, il folklore, la musica e la danza, ma sembra identificarsi con esse», scrive Turkson nel suo messaggio riportato dal Sir, in cui richiama l’insegnamento di Papa Francesco sul tema della devozione popolare evidenziando che «sottovalutare la forza evangelizzatrice della pietà popolare sarebbe come spegnere lo Spirito, cosa che non deve succedere mai».

Ricordando la devozione popolare dei gitani cattolici verso Maria «dalla quale imparano il dialogo personale e profondo con Dio» che li spinge a pellegrinare nei più famosi santuari mariani da Roma a Compostela, da Lourdes a Fatima, da Saintes-Maries-de-la-Mer a Banneux, da Czestochowa a Gaboltov, il porporato afferma: «È motivo di gioia sapere che la Bibbia e il Nuovo Testamento sono tradotti in varie lingue delle etnie gitane e in molti Paesi esistono le Scuole di fede, i gruppi di preghiera e vengono offerte altre opportunità per favorire la crescita spirituale».

Nel documento, il capo Dicastero ricorda anche i circa 180 consacrati nel mondo di origine gitana che possono essere «protagonisti e testimoni in grado di favorire il processo di conversione e la crescita nella fede dei loro fratelli e sorelle di etnia, aiutandoli a vivere e ad essere Chiesa».

All’evento in Belgio partecipa anche don Gianni Gianni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Cei che si occupa del mondo della mobilità umana. In una nota diffusa per il “Romano’ Dives” il sacerdote sottolinea che la ricorrenza odierna «ci richiama ad una attenzione particolare su questi uomini, donne e bambini spesso ignorati e lontani dai nostri interessi. Si tratta di un popolo che in Europa conta 12 milioni di persone: in Italia circa 170mila, che ancora oggi non sono riconosciuti nel nostro Paese».

«Un mancato riconoscimento – sottolinea De Robertis - che oltre a non aiutare la tutela di alcuni diritti fondamentali, accresce l’apolidia e sempre più, nelle nostre città, produce emarginazione e ghettizzazione». Da qui la richiesta di «un maggiore impegno verso questo popolo ricercando strade culturali ed ecclesiali e nuove politiche che evitano l’isolamento e costruiscono una nuova cittadinanza. Strade nuove che aiutano, inoltre, ad abbattere pregiudizi e barriere ideologiche in favore della solidarietà e della misericordia».

Su questa scia, la Fondazione Migrantes promuove per i prossimi 24 e 25 aprile un incontro di confronto e scambio di esperienze con tutti gli operatori pastorali impegnati con i rom e i sinti in Italia.

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