Quando Bobby Ghosh ha lasciato il suo ufficio da direttore dell’Hindustan Times, il principale giornale in lingua inglese dell’India, ci sono voluti solo quattro giorni per ricostruire il motivo della sua cacciata: Hate Tracker, una sezione speciale del sito web del quotidiano dedicata a tracciare il numero di crimini dell’odio per motivi religiosi o etnici, era sparito.

Ghosh, che dopo una carriera internazionale a Time, Cnn e Quartz aveva scelto di tornare in India, ha fatto la valigia ed è ripartito per New York. La sua storia, condivisa ieri con gli studenti del Master in Giornalismo dell’Università di Torino in un dialogo con il presidente di Exor, John Elkann, e il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari, è un frammento significativo dell’evoluzione del concetto di «stampa libera» in quella che viene definita la più grande democrazia del mondo. Ghosh ha scelto di non fornire particolari sulla sua vicenda, ma è noto che alla base del suo defenestramento ci sia stata proprio l’idea dell’«Hate Tracker». Prima di rimuoverlo dal suo incarico, l’editore e proprietario del giornale ha avuto un incontro privato con il primo ministro Narendra Modi, anche se il governo indiano ha negato che l’incontro sia servito a fare pressioni sull’editore.

Nell’India che corre verso lo sviluppo, mentre in Occidente si discute di odio in rete e dei limiti delle piattaforme digitali, l’idea dell’«Hate Tracker» è un raro esempio di strumento online nato per raccontare e creare una coscienza critica sulle violenze offline, i tanti crimini di odio per questioni religiose, etniche, di casta. «Ogni giorno scrivevamo degli articoli su questi fatti - ha raccontato Ghosh - ma il governo non aveva statistiche ufficiali, spesso le autorità non li volevano registrare, anche perché a volte a compiere questi atti potrebbero essere state persone politicamente legate agli induisti, ovvero vicine al governo».

«L’indipendenza del giornalismo è fondamentale per le democrazie libere, soprattutto quando vediamo informazioni sempre più polarizzate», ha affermato Elkann, che con Exor è presente nel settore editoriale con il gruppo Gedi e The Economist. «Oggi nel mondo - ha proseguito Elkann -, vediamo crescere le forze non democratiche. Se sei un leader autoritario arrivi a considerare una normale critica come una critica al Paese e non a te. Questo significa l’inizio di una regressione democratica».

La sfida per il giornalismo contemporaneo è anche quella della sostenibilità economica. «I modelli stanno cambiando - ha ricordato Elkann - ma è sempre più chiaro che il lavoro dei giornalisti è avere la capacità di raccontare il mondo e attrarre lettori. Non è sempre stato così: molti giornali nascevano solo come prodotti su cui pubblicare inserti pubblicitari, tutto ciò è finito in questa generazione». Perciò, secondo Elkann, «l’opportunità per un giornalista è più grande oggi che in passato», e la trasformazione verso l’epoca digitale è «una fase. Ma non mi focalizzerei troppo sulla tecnologia. L’importante è fare un buon lavoro giornalistico».

Nel suo percorso alla guida dell’Hindustan Times, testata che ha oltre 700 giornalisti, Ghosh ha sperimentato puntando sul digitale, triplicando il traffico del sito web e quadruplicando l’audience sui social media. «Abbiamo tutti bisogno di giornalisti che pensino digital-first, che pensino prima al digitale», ha spiegato Ghosh agli studenti del Master, pur senza sottovalutare l’edizione cartacea del giornale che in India è estremamente popolare anche perché poco costosa. Una copia dell’Hindustan Times costa 2 rupie, ovvero 2 centesimi di euro.

Ghosh ha anche chiesto alla sua redazione di «passare meno tempo nei corridoi dei ministeri per avere le notizie, e andare invece nel Paese, raccontare cosa succede in questo Paese che è enorme». Puntualmente, però, è stato un incontro nei palazzi del potere a chiudere la sua esperienza alla guida del giornale.

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