Sul Colle, gli strappi di queste ore erano già nel conto. Prima di un accordo in cui ciascuno dovrà rinunciare a qualcosa, è quasi scontato attendersi momenti tesi, pugni sul tavolo e minacce di rovesciarlo. Per quanto animato dalle migliori intenzioni, nessun vero leader può cedere di schianto, tantomeno può farsi da parte senza prima combattere alla morte. Sergio Mattarella comprende il travaglio dei nostri eroi. Luigi Di Maio, Matteo Renzi e l’altro Matteo (Salvini) hanno in media la metà dei suoi anni, ma il Capo dello Stato rifiuta di trattarli come garzoni. Per quanto può, cerca anzi di agevolarli. E il primo modo per favorire le intese possibili passa proprio per il fattore tempo.

Mattarella ne concederà tutto quello che loro riterranno necessario. Ancora per diverse settimane, giurano dalle sue parti, saprà resistere alla tentazione di qualche gesto che lo renderebbe popolarissimo tra gli italiani (per venire sommerso dagli applausi gli basterebbe dichiarare: «Fate presto, decidetevi in fretta a formare il nuovo governo oppure sarò costretto a pensarci io») però complicherebbe la soluzione del puzzle. Soltanto a maggio, se nulla sarà successo, prenderà l’iniziativa di calare qualche soluzione dall’alto. Ma non è il suo piano, e comunque adesso siamo ancora nella fase della pazienza istituzionale. Il Parlamento, nell’attesa, provveda a eleggere gli 8 membri «laici» del Csm. Mattarella ha invitato Fico, presidente della Camera, a convocare le Camere in seduta comune.

Nuovo round di colloqui

Confermato in settimana il secondo round di consultazioni. Ugo Zampetti, segretario generale della presidenza, oggi contatterà i partiti per concordare il calendario. Anche stavolta dureranno un paio di giorni, ma resta incerto l’inizio: giovedì o venerdì, ancora non è dato sapere. Mattarella si è tenuto libero da impegni, per cui viene da sospettare che giovedì forse accadrà (o non accadrà) qualcosa in grado di cambiare il corso degli eventi. Grazie alle lunghe antenne, lassù sono in grado di conoscere molte più cose di quante noi umani neppure immagineremmo. Del resto, le voci di grandi manovre si inseguono per i palazzi. C’è chi scommette che Renzi tra un po’ di giorni tornerà in scena e farà la sua mossa. Altri danno per certo che Salvini sia deciso a scaricare il Cav, e aspetti soltanto le elezioni in Friuli del 29 aprile per promettersi a Di Maio.

Se qualcuno dei protagonisti lo desiderasse ardentemente, Mattarella non avrebbe difficoltà a conferirgli un pre-incarico: vale a dire un generico mandato per sondare il terreno e tornare dal Presidente a riferire com’è andata. Ma nessuno vuole il pre-incarico, che sarebbe destinato a un fiasco. Tutti gradirebbero invece un mandato pieno che, diversamente dall’altro, prevede un dibattito in Parlamento, con tanto di voto finale. Sarebbe uno strumento di pressione molto forte. Berlusconi, non a caso, insiste con Salvini perché se lo faccia affidare, ma per prassi costituzionale un incarico vero e proprio viene affidato soltanto se c’è la certezza di formare una maggioranza. E questa garanzia, per ora, il centrodestra a Mattarella non può darla.

Così come hanno scarso credito le minacce di tornare alle urne, previa modifica rapida della legge elettorale. Per cambiare il «Rosatellum» nella cosiddetta Commissione speciale, che provvede agli adempimenti indifferibili, dovrebbero essere tutti d’accordo. Ma il Gruppo misto è contrario. E alla domanda se darebbero il via libera a una forzatura del genere, dai Cinque Stelle la risposta è secca: «Scherziamo? Certo che no».

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