I resti di quel che fu il più potente esercito della passata legislatura, questa sera alle 18 risaliranno in disordine e senza grandi speranze le scale che portano alla mansarda del Nazareno, sede del Pd, per una riunione congiunta dei gruppi parlamentari. Per la prima volta dal 4 marzo i 111 deputati e i 52 senatori potranno discutere liberamente di politica, anche se non ci sarà Matteo Renzi, che parlerà all’Assemblea nazionale del 21 aprile e nel frattempo intende lasciare la briglia sciolta al partito. Un’analisi approfondita delle ragioni della sconfitta dovrà essere una volta ancora procastinata, perché incombe la gestione del quotidiano.

Dentro il Pd i posizionamenti sono chiari: Renzi, nel dimettersi, ha lasciato ai suoi «eredi» una linea talmente pronunciata (mai al governo con i Cinque stelle) che agli altri non è restato che farla propria. Con una correzione tattica che ha portato due ministri agli sgoccioli di mandato, Dario Franceschini e Andrea Orlando, a sostenere che non è possibile far finta di nulla davanti alle profferte di Luigi Di Maio.

Un’apertura ad un governo Pd-Cinque stelle? Oppure i ministri si mettono avanti col lavoro, in vista di scenari diversi? In altre parole, se le combinazioni attualmente in trattativa dovessero arenarsi, come ultima spiaggia potrebbe riprendere quota un «governissimo» con tutti dentro? Da 48 ore al Quirinale è sopraggiunta una rinnovata fiducia, nella convinzione che tutti i partiti, Pd incluso, possano dare una mano. E si confida che alla fine del secondo giro di consultazioni, possa rientrare in gioco tutto il Pd, Renzi incluso.

Ieri l’ex segretario era a Roma e prima che il presidente dei deputati Graziano Delrio andasse negli studi de La7 a registrare una puntata di «Otto e mezzo», i due hanno chiacchierato a palazzo Giustiniani, mettendo a punto alcune coordinate. Renzi si è detto convinto che Di Maio, Salvini e Berlusconi siano «incartatissimi» e che tatticamente parlando convenga al Pd lasciarli scannare. E dopo? In trasmissione Delrio ha tenuto il punto sulla questione di un governo M5S-Pd, perché «le differenze non scompaiono in pochi giorni» e dunque «non ci sono possibilità per un governo assieme perché le distanze sono troppo profonde».

Delrio non è stato interpellato sull’extrema ratio di un «governissimo», ma è stato lui stesso a fare qualche velato accenno a scenari diversi quando ha detto: «La discussione potrà diventare più matura, non nel senso che cambiamo il nostro posizionamento ma nel senso che potremo discutere nel merito delle proposte di programma». E ancora: oggi come oggi un governo con i Cinque stelle è impossibile e comunque un dialogo «richiede un ripensamento sostanziale del loro approccio» e fra un mese si vedrà. E interpellato sul rischio di elezioni anticipate, Delrio ha lasciato un altro spiraglio: «Io spero che ci siano zero possibilità di tornare al voto: non sarebbero la soluzione migliore». Oggi il primo test sugli umori dei parlamentari: dopo un mese è possibile una prima stima attendibile sulla loro collocazione interna; i «renziani doc» controllano circa metà del gruppo Camera e circa il 40% di quello Senato, mentre si è molto ingrossata l’area della maggioranza (Franceschini, Gentiloni, Martina, Delrio, Guerini) non del tutto allineata a Renzi e che al Senato controlla oltre il 40% del gruppo. La resa dei conti interna è appena cominciata.

I commenti dei lettori