Gesù tende a comunicare dal vivo, con le persone, nelle situazioni, specifiche. Così è l’amore, non una semplice azione meccanica ma un vivere sempre più attento a ciascuno. Dunque amando non si finisce di scoprire nuove sfumature. Ed è naturale che emergano aspetti diversi da soggetto a soggetto. L’amore dunque si cerca meglio col contributo di ciascuno. Non si tratta di mode, di concetti, sempre ripetitivi.

Tra le mille, vive, sfumature si può scoprire per esempio il dono di una persona ancora fondamentalmente strutturata in un certo intellettualismo ma aperta, sincera. Proprio nel suo aprirsi ancora farraginoso a nuovi, più umani, orizzonti una tale persona in qualche modo può fare da migliore, per certi versi, tramite, nel passaggio, anche per altre con orientamenti a lungo da vicino condivisi ma più staticamente strutturate. L’amore, la sapienza, non sono, appunto, concetti astratti, meccanici.

«Dai giorni di Giovanni fino ad oggi il regno dei cieli soffre violenza ed i violenti se ne impadroniscono» (Mt 11, 12). Lo spirito di amore tende alla mitezza, alla comprensione, allo scambio e non alla violenza dell’imposizione, delle parole d’ordine meccaniche... La creatività così può morire. La monotonia può in varia misura imperare e la vita, la ricerca, possono in varia misura spegnersi.

In questo vivo entrare nel mistero non con uno spirito disincarnato, non con una ragione astratta ma con la propria specifica umanità, si può cogliere forse una meno drastica distinzione tra la teologia “apofatica”, dell’impossibile parlare di Dio, e la teologia “catafatica”, che cerca di esprimerlo. Potendo finire la prima per vedere troppo poco, la seconda per illudersi di vedere, schematizzando. Si può trattare anche di un certo loro superamento. È sempre, appunto, un vivo, personalissimo, graduale, entrare nel mistero di Dio, dell’uomo, del mondo. È un sempre nuovo entrare per grazia nella Parola viva. Come siamo aiutati a sintonizzarci dal vivo, con il cuore, con ogni specifica persona, cosi veniamo aiutati a superare le strutturazioni statiche, gli schemi, sistemi non di rado anche di potere. Si può in tante cose tendere a cercare insieme vie, ad aprire nuovi squarci, a gettare semi, più che a rinchiudersi in astratti spiritualismi o a perdersi in prolissi programmi prefabbricati.

Si possono dare in mille modi situazioni che stimolano ad un’apertura verso nuovi orizzonti. Pensiamo a Giuseppe che voleva rimandare Maria incinta. La tendenza di Giuseppe poteva essere quella più riduttiva di non fare del male a Maria ma così Giuseppe si sarebbe chiuso e avrebbe potuto chiudere il mondo a tanti doni. La ragione astratta può tendere a rimanere incastrata nelle proprie logiche, il cuore può rivelarsi orientato ad accogliere il vivo Spirito di Cristo, anche nel suo manifestarsi attraverso altre persone. Che talora fanno saltare gli schemi, anche culturali, in maniera per certi aspetti lampante se vi è un po’ di sincera attenzione, con la loro stessa vita.

Portati nel mistero, nelle sue sorprese, viviamo dunque della grazia divina e umana, non di moralismi, di schematismi. È proprio il dono di un più profondo abbandono in Dio, non solo spiritualistico, non solo intellettualistico, ma spirituale e umano che apre al superamento dell’“apofatismo” e del “catafatismo”. Del troppo, disincarnato, «non dire» e del troppo terreno «dire». Si lasciano le false sicurezze delle due tendenze citate e si viene portati nella ricerca, anche nel rischio, nell’attenzione, del vivo discernimento, nell’abbandono in Dio, alla sua opera.

«E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte ma dite ciò che in quella ora vi verrà dato: perché non siete voi a parlare ma lo Spirito Santo» (Mc 13, 11). Non risposte prefabbricate ma l’apertura al vivo discernere di Cristo. Veniamo più profondamente condotti nel rin-graziamento, il cercare di riconoscere la grazia in ogni cosa. Siamo condotti dalla e nella eucaristia, che significa appunto ringraziamento.

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