Ai 550 Missionari della Misericordia che gremiscono la Basilica vaticana, Papa Francesco ricorda l’importanza del loro ministero - istituito durante il Giubileo del 2016 con la concessione di rimettere anche i peccati gravissimi di solito riservati alla Sede Apostolica -, ma con una importante raccomandazione: «attenzione», dice, a non trasformarvi in «preti invasati, quasi che si fosse depositari di un qualche carisma straordinario».

Sì, è vero che «il Vangelo ricorda che chi è chiamato a dare testimonianza della Risurrezione di Cristo deve lui stesso, in prima persona, “nascere dall’alto”», ma quello di cui c’è bisogno sono «preti normali, semplici, miti, equilibrati, capaci di lasciarsi costantemente rigenerare dallo Spirito, docili alla sua forza, interiormente liberi - anzitutto da sé stessi - perché mossi dal “vento” dello Spirito che soffia dove vuole», sottolinea Bergoglio durante la messa a culmine del secondo incontro a Roma dei Missionari organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova Evangelizzazione dall’8 all’11 aprile.

Il Papa aveva già ricevuto questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico, i sacerdoti venuti da tutti e cinque i continenti in udienza privata. Incontrandoli di nuovo in Basilica ricorda loro «due aspetti inseparabili» di questa speciale missione affidatagli due anni fa e prorogata anche dopo la fine del Giubileo: «la rinascita personale e la vita della comunità». Cioè il mettersi «al servizio delle persone, perché “rinascano dall’alto”», e «al servizio delle comunità, perché vivano con gioia e coerenza il comandamento dell’amore». In queste due direzioni deve muoversi il ministero di questi “agenti” della Misericordia.

Riguardo al primo punto, il Pontefice ammonisce a non diventare come «Nicodemo che, pur essendo maestro in Israele, non capiva le parole di Gesù quando diceva che per “vedere il regno di Dio” bisogna “nascere dall’alto”, nascere “da acqua e Spirito”. Nicodemo - evidenzia il Papa - non capiva la logica di Dio, che è la logica della grazia, della misericordia, per cui chi diventa piccolo è grande, chi diventa ultimo è primo, chi si riconosce malato viene guarito. Questo significa lasciare veramente il primato al Padre, a Gesù e allo Spirito Santo nella nostra vita».

Da questa consapevolezza scaturisce la seconda indicazione di Francesco riguardo al servizio alla comunità: «Essere preti capaci di “innalzare” nel “deserto” del mondo il segno della salvezza, cioè la Croce di Cristo, come fonte di conversione e di rinnovamento per tutta la comunità e per il mondo stesso». «Il Signore morto e risorto è la forza che crea la comunione nella Chiesa e, tramite la Chiesa, nell’intera umanità», sottolinea Francesco. Comunione che si era manifestata secoli fa nella comunità di Gerusalemme dove i credenti vivevano con «un cuore solo e un’anima sola», condividendo i beni e non lasciando mai nessuno nel bisogno.

Uno stile di vita, questo, che era «contagioso verso l’esterno», osserva il Papa: «La presenza viva del Signore Risorto produce una forza di attrazione che, attraverso la testimonianza della Chiesa e attraverso le diverse forme di annuncio della Buona Notizia, tende a raggiungere tutti, nessuno escluso». In tale dinamismo deve inserirsi lo specifico ministero dei Missionari della Misericordia, perché - rimarca Papa Francesco - «sia la Chiesa sia il mondo di oggi hanno particolarmente bisogno della Misericordia perché l’unità voluta da Dio in Cristo prevalga sull’azione negativa del maligno che approfitta di tanti mezzi attuali, in sé buoni, ma che, usati male, invece di unire dividono».

«Noi - conclude il Papa citando la sua Evangelii Gaudium - siamo convinti che “l’unità è superiore al conflitto”, ma sappiamo anche che senza la Misericordia questo principio non ha la forza di attuarsi nel concreto della vita e della storia».

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