Ogni giorno fratel Marco Rizzonato si confronta con la malattia, con la disabilità e con la fragilità del carcere in un mondo che esaspera le disuguaglianze e calpesta o non considera chi non tiene il passo. Affronta con passione una sfida che, come racconta, «stimola la creatività». C’è una domanda di fondo che abita nel suo cuore: «Che cosa posso fare per aiutare quella persona?». «Cerco – spiega – di dare delle risposte concrete perché l’altro si senta parte di una società, di un gruppo. In questi anni ho provato a dare valore a chi non aveva valore. Ogni essere umano deve essere riconosciuto in quanto tale. Il nostro fondatore, San Giuseppe Cottolengo, non ha mai detto di no a nessuno, come un padre che accoglie i suoi figli che bussano alla porta».

Da 17 anni porta avanti un progetto in carcere con l’onlus Outsider, di cui è il presidente, per dare la possibilità all’altro, anche a chi non uscirà più, di poter donare la vita. L’ultimo spettacolo “Che cosa bolle in cella”, in scena il 13, il 14 e il 15 aprile nella casa circondariale Le Vallette, ha come protagonisti anche i disabili. «Il disabile non giudica il detenuto, ma lo accoglie per quello che è, cioè una persona. Il criminale, che sa di essere condannato dalla società, si mette in gioco e comprende che la sua vita può essere ancora importante per un’altra persona».

Con l’ausilio dello chef Matteo Baronetto è stato prodotto anche un ricettario testato dagli stessi detenuti con un fornellino da campo: attraverso la vendita di questo libro si potranno finanziare altri progetti dietro le sbarre. Nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di Torino, la cittadella della carità fondata dal Cottolengo, fratel Marco ha imparato il rispetto dell’altro. «Si sente il bisogno dell’amore», confida, «e l’amore parte proprio dal rispetto e dal desiderio di rispondere al bisogno dell’altro».

Come diceva Cottolengo i più piccoli rappresentano Cristo: «Gesù è dietro ogni persona che bussa». Matteo 25 è il brano di Vangelo che accompagna la quotidianità del religioso: «Se hai fame, faccio di tutto per sfamarti… Se sei in carcere, vengo a trovarti perché so che Gesù è lì. Così arrivi a donare il tempo perché l’altro rappresenta qualcosa di meraviglioso (Gesù) per la tua vita. E quando ti senti molto amato, hai bisogno di condividere questa condizione».

Il carisma cottolenghino opera anche in Kenya, in Ecuador e in India dove è approdato negli anni Settanta. Di recente Marco è stato proprio nel Kerala, in una terra dai tanti colori. Lì il Cottolengo, oltre all’impegno nella pastorale e nel campo socio-sanitario, gestisce cinque centri residenziali per circa 150 disabili. A Paravur, in particolare, la comunità gestisce una casa per 22 giovani disabili intellettivi. Tra i programmi in cantiere merita una menzione l’agricoltura sociale (con le piantagioni e l’allevamento dei pesci) sviluppata in modo professionale: produce valore e offre un’opportunità di crescita. La finalità è di coinvolgere gli ospiti in attività semplici ma di cui si possono vedere i risultati, per esempio quando raccolgono frutta e ortaggi o mungono il latte al mattino.

«La diversità – conclude – non va messa ai margini della società. Rispetto a vent’anni fa è cambiato, almeno nel Kerala, l’approccio nei confronti della disabilità. Ho visto tanta povertà, ma anche la volontà di riscattarsi. I religiosi sono al lavoro per garantire sempre di più una maggiore autonomia dei ragazzi e hanno l’intenzione di costruire dei veri e propri spazi di autonomia».

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