«Il Vangelo non è un’utopia», è una speranza reale anche per l’economia! Lo afferma Papa Francesco nella prefazione cha ha scritto al libro con cui Michele Zanzucchi offre la lettura di un tema importantissimo, «La giustizia sociale secondo Bergoglio». Questo sottotitolo del volume intitolato “Potere e denaro pubblicato da Città Nuova aiuta il lettore a capire cosa troverà nelle 160 pagine pubblicate in questi giorni. Un libro importante, ancor di più per la non formale prefazione scritta dal Papa: «Se oggi guardiamo all’economia e ai mercati globali, un dato che emerge è la loro ambivalenza. Da una parte, mai come in questi anni l’economia ha consentito a miliardi di persone di affacciarsi al benessere, ai diritti, a una migliore salute e a molto altro. Al contempo, l’economia e i mercati hanno avuto un ruolo nello sfruttamento eccessivo delle risorse comuni, nell’aumento delle diseguaglianze e nel deterioramento del pianeta».

Ricordati i contrasti conosciuti in Argentina, il Papa osserva che i suoi viaggi lo hanno messo a contatto con il paradosso di un’economia globalizzata che potrebbe sfamare, curare e alloggiare tutti. Quindi aggiunge con estrema precisione e usando parole molto importanti: «Ho constatato che il capitalismo sfrenato degli ultimi decenni ha ulteriormente dilatato il fossato che separa i più ricchi dai più poveri, generando nuove precarietà e schiavitù». Il discorso che sviluppa è rivolto dunque agli eccessi della finanza, della deregulation, visto che aggiunge: «La mancanza di regolamentazione e di controlli adeguati favorisce la crescita di capitale speculativo, che non si interessa degli investimenti produttivi a lungo termine, ma cerca il lucro immediato».

Per non cadere nell’errata considerazione che si tratti di una valutazione generica bisogna leggere con cura l’introduzione, in particolare lì dove il Papa scrive: «Quanto dico e scrivo sul potere dell’economia e della finanza vuol essere un appello affinché i poveri siano trattati meglio e le ingiustizia diminuiscano. In particolare, costantemente chiedo che si smetta di lucrare sulle armi col rischio di scatenare nuove guerre che, oltre ai morti e ai poveri, aumentano solo i fondi di pochi, fondi spesso impersonali e maggiori dei bilanci degli Stati che li ospitano, fondi che prosperano nel sangue innocente». La parola «fondi» usata tre volte non può essere trascurata. Il Papa mostra di conoscere bene alcuni fondi più che speculativi. Come tutti sanno ci sono anche i fondi avvoltoio, che hanno guadagnato miliardi di dollari speculando sul debito internazionale di tanti paesi del «Terzo Mondo», aggravandolo enormemente. Gli studi di tanti giuristi cattolici hanno affrontato questa stortura, la «usurocrazia» dei fondi. 

Per orientarsi occorre tornare alla fine degli anni ‘80, quando con la dichiarata finalità di allargare le maglie del credito internazionale alle economie indebitate dei Paesi in via di sviluppo, il ministro del Tesoro dell’amministrazione Bush senior creò i Brady Bond, trasformando i debiti in prodotti finanziari, commerciabili dalle banche, in modo da trasferire la concentrazione del rischio a una pluralità di soggetti. Le condizioni di pagamento erano segrete, ma con interessi che arrivavano al 18-20%, grazie a quel meccanismo detto «anoticismo» e che vuol dire produzione di interessi da altri interessi, anche su base bimestrale, sebbene scaduti. Nel 2008 la Norvegia, dopo aver acquistato alcuni Brady Bond, grazie alla Norwegian Church Aid, alla Federazione luterana mondiale, alla Chiesa di Svezia e al convegno da loro promosso sul debito esterno illegittimo, conosciuti i criteri di erogazione di questi prestiti, si rese conto di cosa aveva fatto e decise unilateralmente di cancellare il debito di cinque paesi in via di sviluppo. 

La prefazione di papa Francesco contiene altri punti di indiscutibile rilievo: «Tanti, tantissimi uomini e donne di ogni età e latitudine, sono già arruolati in un inerme “esercito del bene”, che non ha altre armi se non la passione per la giustizia, il rispetto della legalità e l’intelligenza della comunione. È troppo pensare di introdurre nel linguaggio dell’economia e della finanza, della cooperazione internazionale e del lavoro tale parola, comunione, declinandola come cura degli altri e della casa comune, solidarietà effettiva, collaborazione reale e cultura del dono?».

Zanzucchi, nel suo lavoro, si sofferma molto su quanto papa Francesco ha scritto nella Evangelii Gaudium ed è certamente importante il ringraziamento rivolto al massmediologo Dominique Wolton, autore del libro-dialogo con papa Francesco “Politique et société, un dialogue inédit”, che presto sarà pubblicato in italiano. Il libro di Wolton è citato più volte nel libro, a cominciare da una affermazione cruciale per il nostro presente: «L’economia liberale di mercato è una follia», senza uno Stato regolatore. Qui Zanzucchi parla di ritorno di un capitalismo immorale, perché non trova altro termine per definire lo scarto umano. 

Il libro parte infatti dalla cultura dello scarto, la globalizzazione, il cambiamento necessario: e qui si può leggere un’osservazione così importante da risultare difficilmente contestabile: «Un sistema che non prende sul serio l’esclusione sociale, la distruzione della natura, le guerre scatenate dall’avidità è un sistema gravemente malato». Eccolo dunque il cambiamento necessario, quello dei cuori, ma anche delle strutture sociali peccaminose, scrive Zanzucchi. 

Un libro così non poteva non prestare grande attenzione anche all’emergenza globale delle migrazioni forzate, che sovente coinvolgono intere etnie, comunità religiose, e indicano persecuzioni. E così Zanzucchi non può risparmiarci il doloroso catalogo delle nuove povertà e fragilità: «I senzatetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni sterminati, chi viene escluso per l’età dalla vita attiva, i migranti annegati, le vittime delle diverse forme di tratta, i lavoratori che vengono uccisi nelle fabbriche clandestine, le nuove forme di prostituzione, i bambini utilizzati per l’accattonaggio, le vittime dei crimini delle mafie, le donne che soffrono esclusione, maltrattamento e violenza e che spesso hanno minori possibilità di difendere i loro diritti, le vittime da bullismo da social network... E come dimenticare i non nati...».

Il capitolo ovviamente procede con la storia di chi soffre ancora la fame e arriva a uno snodo decisivo: progresso e sviluppo. Ricordando Giovanni Paolo II, Zanzucchi ribadisce che non sono sinonimi; perché il vero sviluppo non può limitarsi alla crescita economica, ma deve contribuire alla pienezza della persona umana, ed estendendo il discorso alle periferie non può che diventare anche un discorso culturale: infatti Zanzucchi constata che l’opinione pubblica non ha piena consapevolezza dei problemi che affollano la quotidianità degli esclusi, che sono la porzione più numerosa dell’umanità. 

Dopo pagine molto ricche su imprenditori, lavoratori, lavori, ruolo dei sindacati, si arriva allo sviluppo tecnologico e al paradigma tecnologico: Zanzucchi ci parla di un bivio fondamentale, che non è più quello tra capitalismo e comunismo, un bivio superato nel secolo scorso. Quello odierno è sorprendente, e nasce da una separazione: capitalismo e liberalismo sembrano aver imboccato strade diverse e questo sarebbe apparso impensabile solo poco tempo fa. E qui, dopo importanti citazioni di Benedetto XVI e altri Papi, arriva imprescindibile nella sua stringente attualità la citazione di Papa Francesco, che nel messaggio per “Le idee di Expo 2015 - Verso la carta di Milano” ha scritto: «È dunque necessario, se vogliamo realmente risolvere i problemi e non perderci nei sofismi, risolvere la radice di tutti i mali che è l’inequità. Per fare questo ci sono alcune scelte prioritarie da compiere: rinunciare all’autonomia assoluta dei mercati, e della speculazione finanziaria e agire anzitutto sulle cause strutturali dell’inequità».

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