Partiamo da due dati. Oltre un italiano su due, il 51 per cento, secondo una recente indagine di Eurobarometro, considera i migranti più un problema che un’opportunità. Il secondo: per un sondaggio citato da Politico in un ipotetico (ma costituzionalmente non realizzabile) referendum la maggior parte degli under 45 italiani, il 51% per la precisione, voterebbe per staccarsi da Bruxelles.

UN FESTIVAL CONTROCORRENTE

E così, proprio nell’isola del Manifesto europeista scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, Ahmed ha dato appuntamento ai nuovi cittadini, e a tutti quelli che si riconoscono nei valori dell’accoglienza. Dalla volontaria europea dell’anno, Khadija Tirha, all’antropologo Tommaso Carturan, ideatore di Arte migrante, un’associazione attiva in 19 città che attraverso performance artistiche cerca di favorire l’inclusione sociale. Sono più di una trentina gli ospiti e i relatori che si troveranno a Ventotene. Con loro circa 60 partecipanti tra studenti e rifugiati. Un festival che avrà la durata di tre giorni, da venerdì 27 aprile a domenica 29 (qui l’evento Facebook). E che proverà a parlare di questa «Generazione Ponte». Una generazione che qui cerchiamo di conoscere attraverso quattro dei suoi protagonisti.

Khadija Tirha, 25 anni, nata in Marocco e torinese di adozione ha vinto il premio giovane volontario europeo della Focsiv. «Una musulmana premiata con un riconoscimento indetto da una federazione cristiana può destare scalpore», racconta Khadija. Ma aggiunge: «Io fin dal servizio civile con Lvia, mi sono sempre impegnata nel volontariato sia in organizzazioni laiche che cristiane perché credo sia necessario mettersi in gioco per sentirsi cittadina del Paese che mi ha accolto e sento mio». Promotrice del dialogo interculturale e religioso è una musulmana praticante e si definisce «cittadina del mondo». Laureata in scienze internazionali dello sviluppo e della cooperazione, con una tesi intitolata Corridoi umanitari; un’alternativa possibile alle vittime di guerra in fuga da conflitti, ha avuto modo di confrontarsi in prima linea con il tema dell’accoglienza seguendo per un anno e mezzo una famiglia di siriani arrivata a Leinì attraverso un progetto dalla Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche e Tavola Valdese. «Un’esperienza tosta - ammette -. Che mi ha fatto capire le difficoltà di integrarsi e di raggiungere la piena autonomia dei nuovi arrivati».

Di Latina, antropologo e cantautore, il 31enne Tommaso Carturan è l’ideatore di Arte Migrante, un progetto partito dai portici di Bologna nel 2012 e che ora coinvolge 19 città e circa 2 mila persone in tutta Italia. «L’idea è di usare l’arte come strumento capace di unire le persone. E la cosa bella è che ci stiamo riuscendo», racconta. Il progetto prevede l’organizzazione di serate infrasettimanali caratterizzati da tre momenti. «Prima c’è una sorta di rito iniziatico dove i partecipanti si presentano. Poi cenano insieme. E infine, se vogliono, si esibiscono: ognuno può esprimersi con la performance che preferisce, dal canto al ballo», spiega Carturan. «La cosa bella è che non coinvolgiamo solo migranti e richiedenti asilo, ma anche il resto della cittadinanza che abita nei quartieri dove avvengono queste serate». Degli appuntamenti rivolti all’intera comunità. «In questi tempi in cui assistiamo ancora a discriminazioni e fenomeni razzismo c’è bisogno di posti di condivisione, per ricordarci che facciamo tutti parte del genere umano», conclude Tommaso.

«Ho passato due terzi della mia vita in Italia, ma non ho ancora la cittadinanza». Ada Ugo Abara è una 25enne di origine nigeriana arrivata a San Biagio di Callalta (Treviso) quando aveva 10 anni. Si è laureata con lode in Cooperazione, sviluppo e innovazione nell’economia globale. «Ma proprio negli anni universitari a Padova ho conosciuto in prima persona il razzismo. Una signora non ha voluto affittarmi la sua casa perché aveva paura organizzassi delle riunioni con i miei amici afro-europei». Una porta in faccia che ha convinto ancora di più Ada a impegnarsi nell’associazione Arising Africans, di cui è co-fondatrice. «Vogliamo raccontare un’Africa diversa, non fatta solo di stereotipi e di immigrati costretti ad arrivare sui barcon». Un impegno che l’ha portata a fare parte del Coordinamento nazionale nuove generazioni (Conngi) del Ministero del lavoro. «È un discorso di opportunità: noi giovani di nuova generazione ci siamo formati nei sistemi scolastici europei, qualcuno ha investito su di noi, e ora vogliamo fare da ponte tra i nostri Paesi di origine e l’Europa».

Tareke Brhane è fuggito dall’Eritrea a 17 anni, per evitare la coscrizione a vita. È arrivato in Italia nel 2005, dopo essere stato respinto al primo tentativo di attraversare il Mediterraneo. Oggi ha 35 anni, è cittadino italiano e presiede il Comitato 3 Ottobre, l’organizzazione non profit fondata dopo il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando 368 persone persero la vita. «A gennaio di quest’anno - racconta - abbiamo ottenuto un grande risultato: siamo riusciti, attraverso la firma di un protocollo con il ministero dell’Istruzione e l’Anci, a far aprire le porte delle scuole ai richiedenti asilo accolti nel sistema dello Sprar». In pratica i migranti potranno andare negli istituti per raccontare le loro storie personali e fare in modo che i ragazzi facciano esperienza indiretta di cosa significa lasciare il proprio Paese per cercare una vita migliore in un altro. «È un’iniziativa importante - spiega Brhane - che serve a smuovere l’indifferenza dei giovani europei. È l’Europa, infatti, la grande assente sul tema dell’immigrazione: serve al più presto un sistema comunitario per gestire l’accoglienza che non lasci spazio a chi ne vuole fare un business nazionale».

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