Una rete della jihad tra Italia, Gambia, Libia e Spagna. È sui complici di Alagie Touray, il gambiano di 22 anni arrestato a Napoli per terrorismo, che proseguono le indagini dei carabinieri del Ros e la polizia dell’Antiterrorimo.

Il video con cui l’immigrato in attesa di asilo politico giurava fedeltà al Califfo Al Baghdadi è stato intercettato dall’intelligence spagnola, che ha poi informato i nostri servizi segreti i quali hanno a loro volta attivato le indagini della polizia e dell’Arma. Tra gli interlocutori di Touray, oltre a un amico in Gambia, c’erano anche due libici. Uno in particolare gli inviava istruzioni su come compiere un atto terroristico con un’auto lanciata sulla folla.

Nei messaggi whatsapp a potenziali affiliati all’Isis, come si legge nell’ordinanza del gip Isabella Iaselli, Touray chiedeva di «pregare perché sono in missione e quando si è in missione c’è bisogno delle vostre preghiere e del Corano». Il procuratore della Repubblica di Napoli, Giovanni Melillo, precisa però che non sono note le circostanze «di tempo e di luogo dell’attentato». Il giovane era pronto a tutto, anche a morire o a sparire.

Dopo aver inviato il video del giuramento, informava così un amico gambiano: «Se non ti scrivo, tu non scrivermi che non posso rispondere». E secondo la gip «è chiaro è consapevole di non potersi più far sentire e si preoccupa che l’altro possa esporsi scrivendo quando lui non può rispondere». Sbarcato a Messina il 22 marzo 2017, con altri 638 migranti di cui 209 provenienti dal Gambia, partiti da Sabratha in Libia, da un anno risiedeva a Pozzuoli in un centro di accoglienza allestito in un hotel sul lungomare e viveva «con i 77 euro al mese forniti dal centro che gli forniva anche vitto e alloggio».

Il video del giuramento all’Isis dura 21 secondi e il gambiano, durante un primo interrogatorio il 20 aprile scorso dopo essere stato fermato davanti all’uscita della moschea di Pozzuoli, ha affermato di averlo fatto per scherzo. «Volevo realizzare un video comico e avevo imparato la frase in arabo». Ma il giorno dopo ha ammesso di averlo girato e diffuso in cambio di denaro: «Dovevo realizzare il video, poi avrei ricevuto 1500 euro per andare in Francia. Sempre la persona con quel numero mi ha chiesto di prendere una macchina e di andare addosso alle persone». Difeso dall’avvocato Mariella Di Cesari ha tuttavia precisato: «Io in realtà non avrei mai accettato di uccidere nessuno».

Le riprese peraltro sono state effettuate quattro volte di seguito, perché le prime tre erano state respinte dal misterioso committente a causa della pessima pronuncia araba (il gambiano parla solo la sua lingua e l’inglese). Ecco il risultato finale del filmato, che, per sua stessa ammissione, Alagie Touray avrebbe girato all’interno del centro di accoglienza per migranti di Pozzuoli: «Giuro fedeltà per il Califfo di tutti i musulmani, Abu Bakr Al Qouraci Al Baghdadi e ascoltarlo e ubbidirlo, nel facile e nel difficile. Nel secondo giorno del mese di Rajab, oggi lunedì. Allah è testimone di quello che dico».

In merito all’attentato ha spiegato che l’amico «Batch Jobe, che lavora in un negozio di cambio denaro mi aveva dato l’utenza di una persona da contattare in caso di problemi». Aveva chiamato quel numero (un’utenza libica) circa un mese prima e l’interlocutore gli avrebbe chiesto di girare il video del giuramento e poi di lanciare un’auto sulla folla.

Non gli sarebbe stata indicata la città ma gli fu detto solo «di prendere una macchina e investire delle persone per ucciderle». Il gambiano ha inizialmente negato di usare Telegram e di essere molto praticante, ma quando gli è stato chiesto conto della «zebiba», una sorta di bernoccolo sulla fronte che si è procurato battendo la testa sul pavimento durante le preghiere che recita da fervente musulmano ha ammesso: «Io prego tutti i giorni cinque volte al giorno». Il capo della polizia Franco Gabrielli ribadisce l’importanza del «sistema di prevenzione che ha funzionato. Soprattutto ha funzionato la corretta circuitazione delle informazioni tra l’intelligence e le forze di polizia». Secondo gli inquirenti, infine, sia l’atteggiamento mite del giovane, sia l’evoluzione delle bugie iniziali sfociate poi in una progressiva ammissione, fanno parte di un manuale dello jihadista diffuso da Daesh sul web.

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