Svolta nelle politiche giudiziarie di contrasto alla ‘ndrangheta in Piemonte. Su richiesta della Dda e dei carabinieri del Nucleo investigativo di Torino, il Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, uno dei quattro che dipende dal Ministero della Giustizia) ha accordato e deciso il 41 bis, il regime carcerario più duro, ai fratelli Adolfo e Aldo Cosimo Crea, ritenuti da una serie di indagini (e relative sentenze) i capi della mafia calabrese radicata da decenni a Torino.

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Originari di Stilo, provincia di Reggio Calabria, ed emigrati in Piemonte al culmine di una faida con le famiglie rivali dell’Alto Jonio Gullace-Novella, i fratelli Crea avevano scalato velocemente le gerarchie della malavita organizzata del capoluogo piemontese. Più volte arrestati, usciti – inizialmente - indenni (nel 2004) dall’accusa di associazione e delinquere di stampo mafioso, hanno trovato il primo capolinea con l’operazione Minotauro (pm Roberto Sparagna e Monica Abbatecola) babele di accuse contro le ‘ndrine calabresi conclusasi con più di cento condanne. All’epoca le indagini dei magistrati e dei carabinieri li avevano già collocati al vertice delle cosche.

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Usciti dal carcere tre anni fa erano finiti nuovamente in cella a gennaio 2016 nelle more delle indagini Big Bang (pm Paolo Toso) che aveva fotografato la loro perdurante leadership nelle galassia della ‘ndrangheta piemontese. Secondo la Dda e i carabinieri i due “capi” non hanno mai smesso di continuare a impartire ordini e ad assumere ruoli dirigenziali dell’organizzazione, nemmeno durante i periodi di detenzione. Da qui il provvedimento richiesto dalla Dda (guidata dall’aggiunto Anna Maria Loreto) alla Direzione Nazionale antimafia e al ministero e accordato dal Dap. Adolfo Crea è già in cella al 41 bis nel carcere di Parma. E’ Terni invece la destinazione del fratello Aldo Cosimo.

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Il regime di 41 bis conta pochissimi precedenti in Piemonte per i capi della malavita calabrese. Fa eccezione Domenico Belfiore, condannato all’ergastolo (e ora ai domiciliari in differimento pena per gravi motivi di salute) per esser stato il mandante dell’omicidio del procuratore Capo di Torino Bruno Caccia. Per lui era stata la Dda di Milano a chiedere il carcere duro.

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