Wole Soyinka aveva 52 anni quando nel 1986 ricevette il Nobel per la letteratura e lo dedicò a Mandela, che sarebbe uscito dal carcere solo nel 1990. Da decano dell’accademia svedese, il massimo scrittore africano, di cui a maggio Jaca Book pubblicherà il nuovo saggio «L’uomo è morto? Liberarsi dal razzismo», dice di non capire cosa accada a Stoccolma. Al telefono dalla natia Nigeria, dove è tornato dopo un lungo esilio americano, parla del valore dei libri e dell’importanza di premiarli nonostante tutto.

Il 2018 non avrà un Nobel per la Letteratura. Hanno fatto bene o male i giurati a sospendere l’assegnazione del Premio?

«Mi sento molto triste. Per quanto conosco delle motivazioni di questa decisione mi sembra davvero eccessiva, il mondo è pieno di scandali e soprattutto di scandali sessuali, ce ne sono anche alla Casa Bianca. Ma dal momento che le molestie non tirano direttamente in ballo l’integrità dell’istituzione accademica svedese non vedo la necessità di bloccare tutto».

È l’ottava volta che il Nobel per la Letteratura non viene assegnato, in passato era stato a causa delle due guerre mondiali, l’età di Hitler, i roghi dei libri. Quale sarebbe oggi secondo lei una valida ragione per sospenderlo?

«Credo che il Premio vada preservato sempre e a dispetto delle crisi. Anzi, le crisi ci ricordano che a scrivere i libri e a premiarli sono gli esseri umani e non gli dei. In questo senso lo scandalo delle molestie potrebbe addirittura non essere del tutto negativo perché riporta la letteratura in una dimensione umana e restituisce il senso delle proporzioni».

La decisione svedese arriva sull’onda del caso Weinstein. Pensa che la protesta delle donne #metoo si sia spinta troppo oltre?

«Questo è un tema enorme e troppo a lungo taciuto. Apprezzo molto il coraggio di quelle che hanno deciso di parlare rompendo decenni di silenzio. Ma al tempo stesso ogni denuncia andrebbe investigata, non tutti i casi sono uguali».

Ha ancora senso il Nobel della Letteratura nell’era di Internet in cui ci si sceglie tutta la vita su misura, i viaggi, gli ideali politici, i libri?

«Il premio Nobel per le materie umanistiche è diverso da quello per la scienza, la fisica, la medicina. Serve da ispirazione per l’umanità e l’umanità è un territorio grigio, un melange di oggettività e soggettività. In questo senso il premio per la letteratura è più di un premio, è un progetto, bisogna lasciarlo vivere con tutte le sue contraddizioni che lo rendono più vero, più umano».

Tra le contraddizioni annovera anche le polemiche che ogni anno accompagnano il nome del vincitore, come nel caso di Bob Dylan che anche lei criticò?

«La letteratura come la politica, e dunque il Nobel per la Pace, sono aree controverse per definizione perché riguardano la natura degli uomini».

Nel 1986 dedicò il suo discorso per il Nobel a Nelson Mandela, allora in carcere. A chi lo dedicherebbe se fosse premiato oggi o meglio l’anno prossimo?

«A pelle, di getto, istintivamente dico a Leah Sharibu, la ragazza cristiana ancora prigioniera di Boko Haram perché ha rifiutato di convertirsi all’islam per essere liberata. Penso a lei e penso a Mandela che nel 1995 rifiutò un’offerta di libertà perché condizionata alla sua rinuncia alla lotta. Non si tratta di religione ma di carattere, Leah ha detto no ai fondamentalisti sebbene sia cosi giovane, ha mostrato una forza interiore formidabile, è la vera libertà».

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI