«Il giorno in cui nello straniero si riconoscerà un ospite, allora qualcosa sarà mutato nel mondo». Si conclude così, con una citazione del cardinale e teologo Jean Danielou, la lettera indirizzata dalla Commissione episcopale per le migrazioni della Cei alle comunità cristiane dal titolo “Comunità accoglienti, uscire dalla paura”, che va ad “aggiornare” il documento pubblicato 25 anni “Ero forestiero e mi avete ospitato”.

All’epoca, ricorda la Cei, «l’immigrazione era un fenomeno “nuovo” ed emergente, di cui non si riusciva ancora a cogliere le dimensioni e le prospettive». Dal 1993 ad oggi si è assistito ad un «profondo cambiamento» e quello delle migrazioni è divenuto in Italia «un fenomeno sorprendente nel suo incremento, anche se negli ultimi anni esso si è fermato ed è aumentato invece il numero degli emigranti italiani».

Come dimostrano dati recenti, riportati nella lettera, «gli immigrati in Italia hanno infatti raggiunto e superato all’inizio del 2016 il numero di 5 milioni con un’incidenza sulla popolazione totale pari all´8,3%. Non dimentichiamo che il 52,6% di questi sono donne, portatrici di esigenze e sensibilità specifiche, e che nel 2016 sono arrivati in Italia più di 25mila minori stranieri non accompagnati», si legge.

Allo stesso tempo, viene segnalato che «mentre nell’ultimo triennio il numero degli immigrati è rimasto pressoché stabile ed è cresciuto il numero dei richiedenti asilo, il numero degli emigranti italiani è continuato a crescere: nell’ultimo anno oltre 124mila italiani hanno spostato la loro residenza oltreconfine; secondo l’Ocse l’Italia è all’ottavo posto nella graduatoria mondiale dei Paesi di provenienza dei nuovi immigrati». «A fronte di 5 milioni di immigrati in Italia, 5 milioni di italiani sono oggi emigranti nei cinque continenti alla ricerca di un lavoro e di una vita dignitosa», affermano i vescovi.

Riguardo allo spinoso tema dell’accoglienza, riconoscono nel documento che «esistono dei limiti»: «Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose», scrivono i presuli. Inoltre, si dicono «consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro paese rende più difficile l’accoglienza, perché l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita» della nazione.

Da qui un appello a non dimenticare invece «l’importanza dell’ospitalità che porta all’incontro». Perché «le paure - scrive la Cei - si possono vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione. È un cammino esigente e a volte faticoso a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica. Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile, di accettarne la libertà».

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