«Niente da fare, in Italia l’unico ruolo sociale riconosciuto alle donne è quello di madri». «Non comprerò mai più una borsa Carpisa». «Pubblicità imbecille e oltraggiosa». «Una campagna stupida, che fa leva sul senso di colpa e che alla fine dice che l’azienda non dà abbastanza flessibilità». Sono oltre 5mila i commenti, tutti, ma proprio tutti con questo tono, che accompagnano il video pubblicato da Carpisa - marchio di borse e pelletteria low cost della Kuvera S.p.A con sede a Nola, nel napoletano - realizzato con Casa Surace in occasione della Festa della mamma.

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Alcune dipendenti della sede napoletana vengono convocate da un consulente esterno, che inizia - con tono severo - a rimproverarle per non meglio definite mancanze. Alcune si arrabbiano, altre accennano un sorriso tra l’imbarazzato e lo stupito, fino a che si apre la porta dell’ufficio e compaiono i loro figli. Sono loro a elencare alle mamme le rimostranze, che stanno tra il «Lavora meno e stai più con me», «Vorrei che mi facessi la pasta al formaggino» e «Mi prometti che tornerai prima del lavoro?». Il tutto si conclude con abbracci e lacrime, ma ai più - e nei più ci si mette anche chi scrive - non è chiaro in che modo una pubblicità del genere possa in qualche modo festeggiare una mamma lavoratrice, per eccellenza in affanno e poco tutelata.

Non è la prima volta una pubblicità di Carpisa fa discutere. In passato però non si trattò di sessismo: l’azienda campana offriva uno stage a chi tra i suoi clienti più fedeli avrebbe avuto la migliore idea per una nuova strategia di comunicazione. A giudicare dai risultati, pure quella deve essere andata maluccio.

Ma come hanno potuto non accorgersi che una pubblicità del genere avrebbe fatto più che sorridere, indignare? Azzardiamo alcune ipotesi.

1) Non era una pubblicità, ma un’autocritica. Ora tutti sanno che le dipendenti di Carpisa sono costrette a rinunciare al tempo con i figli, e d’ora in poi l’azienda provvederà. Ad aiutare le mamme, che i papà non sono capaci di fare la pasta con il formaggino. Altra possibilità, è giusto che le mamme che lavorano si sentano in colpa e per festeggiarle è buona cosa ricordarglielo.

2) È un’astuzia. Una pubblicità scientemente brutta, così che si parli del marchio. Tra qualche tempo chi non lo conosceva e l’ha conosciuto così, si ricorderà solo il nome del marchio ed entrerà in un negozio senza ricordarsi il perché. Chi invece già lo conosceva, dimenticherà l’accaduto ricordandosi solo che è un marchio di cui si è parlato, senza sapere il perché.

3) A nessuno è venuto in mente di chiedere il parere di una donna per una pubblicità di donne, che parla alle donne.