Brutte notizie da Lugano, ma forse no. Lì veniva stampato fino a venerdì 18 maggio l’ultimo quotidiano cattolico esistente in Svizzera, uno dei pochissimi rimasti in Europa, il Giornale del Popolo (ancora presente, al momento, sul web). Lettori: 35mila, certificati da un sistema minuzioso di controllo, sul quale la pubblicità fa completo affidamento. Proprietario ed editore è il vescovo di Lugano, monsignor Valerio Lazzeri. Un vescovo amato dai fedeli e stimato da tutta la popolazione della Svizzera italiana. 

Mercoledì 16 maggio il fulmine a ciel sereno. Il vescovo editore comunica alla redazione e ai media che ha deciso di depositare i bilanci del quotidiano in Pretura, chiedendo il fallimento della testata. Non prevede nessuna liquidazione e neppure la messa in atto di ammortizzatori sociali per il personale: una trentina tra giornalisti, poligrafici e addetti agli altri servizi. Tutti in disoccupazione da giugno. La direttrice del quotidiano, Alessandra Zumthor, e la sua redazione rimangono allibiti. La situazione del giornale, che come tutta la stampa scritta nel mondo naviga da anni in acque agitate, non dava però adito, sostengono, a particolari preoccupazioni, nessuno pensava alla chiusura, dato che il pareggio tra entrate (abbonamenti e pubblicità) e uscite sembrava, in prospettiva, una meta possibile per il 2018. 

Che cosa ha spinto l’editore al gesto disperato? Dieci giorni fa un’altra notizia era piombata come una valanga sul mondo della carta stampata nella Confederazione. La più grande concessionaria svizzera per la pubblicità, Publicitas, annunciava il fallimento, sommersa da debiti milionari. Nella massa debitoria di Publicitas finiscono anche le entrate pubblicitarie di quattro mesi del Giornale del Popolo. Nel buco spariscono cifre considerevoli. Un brutto colpo, ma non tale – secondo la direttrice del quotidiano - da mettere completamente in ginocchio il giornale. 

Piani di ristrutturazione già studiati e il ricorso a finanziatori privati lasciano intravedere una via d’uscita. Ma contabili e collaboratori diocesani mettono il vescovo di fronte a prospettive debitorie spaventose, insostenibili. A giorni sarà il giudice (pretore) a rendersi conto della situazione.

Ma intanto accade l’imprevedibile: un’ondata di commozione e di solidarietà scuote la Svizzera italiana all’annuncio che una voce mediatica piccola ma vivace e culturalmente significativa per l’intero Paese sta scomparendo nel nulla da un giorno all’altro. Si muove il Governo, il cui presidente chiede udienza al vescovo, si mobilitano politici di ogni schieramento, giornali e intellettuali anche molto lontani dalla testata cattolica. Si promuovono petizioni e collette per sostenere il giornale; persino l’associazione di sostegno alla Radio televisione pubblica “Amici della RSI” apre un conto in aiuto dei giornalisti sull’orlo della disoccupazione. Piovono i piccoli versamenti e le lettere di lettori e abbonati in lacrime. 

Anche qualche imprenditore si fa discretamente avanti con promesse di finanziamenti che permettano di superare la burrasca. La redazione fa uscire l’ultimo numero con 20 fogli bianchi (“oggi non ce l’abbiamo fatta a scrivere”), con in prima pagina la lettera addolorata del vescovo e un piccolo editoriale della direttrice che evita ogni tono polemico con il proprio editore. Si parla di continuare a pubblicare, ma l’obbedienza suggerisce di rinunciarvi. La speranza è come sempre l’ultima a morire. 

E quella dell’unico giornale cattolico della Svizzera appare come una storia emblematica, a poche settimane dalla visita del Papa a Ginevra, e alla vigilia dell’assemblea generale dell’episcopato italiano, che si occuperà proprio di mezzi di comunicazione.

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