Papa Francesco ha indicato nel giorno 14 di ottobre la data della proclamazione di Giovanni Battista Montini, Pontefice Romano dal 1963 al 1978, quale santo da venerare e invocare da parte di tutta la Chiesa cattolica. 

Fa onore all’episcopato argentino, che aveva chiesto l’avvio del processo di beatificazione di quel Pontefice, che sia proprio un figlio e un pastore di quella Chiesa, divenuto Vescovo di Roma, a proclamare santo il Papa della «Populorum Progressio», della difesa dei Campesinos, della «Humanae Vitae», della «Evangelii Nuntiandi». In tempi non sospetti giustamente ebbe a dire il teologo francese J. Congar «Paolo VI si farà strada da solo». E così è avvenuto. 

Più si allontanava il tempo da quel pontificato profetico, ma non colto a causa della situazione ubriacata dal periodo post sessantottino, più le persone pensose e attente a scelte riformatrici apprezzavano l’opera del Pontefice bresciano. 

Ciò che ha fatto riflettere molti, non furono soltanto le sue intuizioni e la sua capacità di ascolto e di dialogo, ma anche le sue concrete riforme per una Chiesa povera e vicina ai travagli e alle attese del mondo moderno e la sua personale e singolare struttura spirituale di «povero cristiano», capace di offrire mente e cuore quale tensione di Cristo Gesù, amico di ogni uomo e di tutto l’uomo. 

La formazione cristiana di Giovanni Battista Montini, appresa in famiglia, soprattutto dall’intelligente sensibilità culturale religiosa della madre Adalgisa e dall’impegno per una «trasfusione» dei principi di un umanesimo cristiano nella vita sociale del padre Giorgio, offrì a Montini il desiderio di fare conoscere, con e ai suoi coetanei, la preziosità di una vita cristiana aperta ai valori del Vangelo. Lo strumento che egli adoperò in questo apostolato fu quello di far conoscere il pensiero di autori cattolici su un umanesimo, dove le fondamenta non possono che essere quelle di un rispetto di un’antropologia aperta alla dimensione trascendente, incarnata però in una solidarietà, priva di contrapposizioni ideologiche, orientata invece alla reciproca attenzione e conoscenza delle problematiche dell’altro, attraverso un dialogo orientato alla giustizia e alla comprensione.

Questa formazione, acquisita anche grazie ai preti dell’«oratorio della pace» di Brescia, ha segnato profondamente l’animo di Montini. In ogni ministero che gli fu affidato, egli fece riferimento a ciò che apprese da questi preti-testimoni e maestri, come padre Caresana e padre Bevilacqua, oltre allo spirito di impegno per un cristiano pensoso di quei giovani laici suoi coetanei, come Lionello Nardini e Andrea Trebeschi. Ne sono testimonianza verace le sue lettere ai familiari e agli amici. 

La santità di Montini ha le sue fondamenta sul fascino di Cristo, sull’amore per la Chiesa e sul voler essere voce degli ultimi.

Cristo

Per Montini il mistero di Cristo è da cogliere nella sua interezza di Verbo divino, che si «abbassa» alla condizione umana, in una compromissione totale, eccetto nel peccato, con la povertà dell’uomo. Questo mistero coinvolge Montini culturalmente e soprattutto spiritualmente. 

La straordinaria attenzione di Cristo per orientare le persone del suo tempo e l’intera umanità a cogliere e a vivere un rapporto con Dio nella confidenzialità propria di un figlio con il padre e di andare oltre nel vivere la fede a ciò che è legalismo, e a sapersi presentare a Dio anche dopo aver «abbandonato» la sua casa, faranno dire e realmente percepire a Montini, che «Cristo ci è necessario». Sì, necessario di una presenza efficace e discreta, come quella del buon samaritano per l’«homo quidam», incappato nei briganti. Di questo primato di Cristo Medico, Maestro, Buon Pastore e Redentore, Montini ne fa una ragione della sua vita interiore e del suo ministero. Basterebbe riprendere in mano le sue omelie e le indicazioni da lui suggerite nelle due lettere ai segretari di Stato di Papa Giovanni XXIII per le tematiche da offrire ai lavori conciliari.  

La Chiesa

Il suo amore per la Chiesa, espresso in modo significativo nel suo testamento spirituale, è il criterio di tutto il dedicarsi di Montini da giovane prete agli studenti; da vescovo ai lontani, al mondo del lavoro e all’impegno per una riforma concreta delle strutture ecclesiastiche della Chiesa locale e a una promozione per un laicato, il cui apostolato non poteva non partire certo da una vita sacramentale e di preghiera, ma che non poteva esimersi dall’incarnare un amore autentico alla Chiesa nella realtà del mondo, coltivando sempre quella comunione con i sacri Pastori, pur nella necessità di un confronto. 

Lui espresse l’amore per la Chiesa anche nell’attenzione per la formazione e la vita dei presbiteri, che deve suscitare generosa risposta alla chiamata del Signore, in un impegno spirituale e umano di autentica promozione, senza ovviamente trascurare l’amore per il popolo a essi affidato. 

Questo amore il presbitero lo deve offrire in campo educativo, sia per i giovani, come per un laicato capace di svolgere concretamente il suo essere lievito evangelico nella realtà del mondo. 

Le sue omelie in duomo per l’ordinazione presbiterale ci fanno percepire questo profondo amore e preoccupazione per un clero capace di essere totalmente impegnato a rispondere a una perfezione che lo Stato sacerdotale richiede, ma anche a prodigarsi, sino a consumarsi, per il popolo di Dio.

Anche la disposizione di Paolo VI già nel 1965 di eventuali sue dimissioni dal ministero pietrino a causa di malattia o di altro grave impedimento, dimostrano il suo alto e concreto amore alla Chiesa e soprattutto allo stesso ministero petrino, che è un servizio da vivere e da consumare nella consapevolezza di quella padronanza di sé, che rende liberi nell’esercitare un compito così alto e così arduo.  

Gli ultimi 

Già da Sacerdote, poi da Vescovo e da Pontefice Romano, Giovanni Battista Montini sentì che uno dei campi che il cristiano e la Chiesa tutta dovrebbe fare proprio, è quello di una umanità sofferente e ferita. 

Fecero riflettere i gesti concreti di Paolo VI nei suoi viaggi, soprattutto il primo dopo la Terrasanta, in India, dove volle recarsi nella periferia di Bombay a incontrare i ragazzi abbandonati e i vecchi emarginati. Fu lui, che in quella circostanza, chiese a Madre Teresa di Calcutta di continuare il suo impegno per gli ultimi, nonostante la poca comprensione allora delle autorità ecclesiastiche. E per dimostrare il suo apprezzamento, lasciò a lei per la sua opera, l’automobile papale. 

Volle l’istituzione del fondo per il terzo mondo con un gesto eclatante: l’offerta della tiara pontificale, con l’invito a tutti i padri conciliari di concretamente partecipare alla costituzione di questo fondo per i paesi in via di sviluppo.

Da Bombay Paolo VI inviò al mondo intero, e soprattutto ai responsabili delle nazioni, un grido di attenzione per i popoli impoveriti nella loro dignità. Il segretario generale dell’Onu invitò allora lo stesso Paolo VI a recarsi a New York, per sensibilizzare i rappresentanti di tutte le nazioni a farsi carico del problema dello sviluppo.

Paolo VI in quella prestigiosa assemblea stigmatizzò ogni conflittualità e chiese un impegno concreto per debellare la fame e la guerra. 

Oltre alle deplorazioni di situazioni umane da rimuovere e da convertire in atteggiamenti concreti per un miglioramento della vita, Paolo VI si rese buon samaritano in molte circostanze. Ne ricordiamo alcune: la notte di Natale del ‘66 fu a Firenze tra gli alluvionati; nel Natale del ‘68 fu all’Italsider di Taranto; nel settembre del ‘65 volle incontrare a Pomezia i nomadi d’Europa in una giornata piovosa, dove però nel cuore dei piccoli ragazzi dei gitani, ai quali fece la prima comunione, splendeva il sole della carità del Papa. 

Fu proprio Paolo VI a volere la Giornata mondiale della Pace: inviò l’1 gennaio del ‘68 a tutti i responsabili delle nazioni, ai pastori della Chiesa cattolica e alle persone di buona volontà il suo primo messaggio accorato, rispettoso ma fermo. 

Montini visse una profonda attenzione nei confronti dei drammi che la fame e la guerra provocano nelle persone, nelle famiglie e nei popoli. 

Molti sarebbero i gesti da ricordare e da sottolineare. Questi cenni stanno a indicare una profonda spiritualità, una santità recepita e comunicata perché il mondo, la Chiesa, le persone non abbiano a perdere la speranza.

Conclusione 

Il 14 ottobre papa Francesco proclamerà Paolo VI santo assieme al vescovo Romero, che Montini incoraggiò a essere testimone del Vangelo tra la sua gente e per la sua gente. 

Dalla causa di Paolo VI, che ho seguito con diligenza nella ricezione delle varie testimonianze e nell’incontro anche con coloro che fino all’ultimo hanno gettato «sospetti» sulla rettitudine dell’opera di Montini, personalmente ne ho ricavato una profonda ammirazione per come Paolo VI, nelle varie fasi della sua vita, rispose alla vocazione e alla missione a cui Dio lo aveva chiamato. Posso dire, con cognizione di causa, che ho riscontrato nel modo costante di Montini di conformare il suo pensiero, il suo cuore e il suo agire, l’animo del buon pastore vero amico dell’uomo che si impegna a offrire all’umanità il vero volto della Chiesa voluta da Cristo, per essere quella luce di speranza per ogni uomo, ogni cultura e ogni popolo. 

Sì, Paolo VI è un santo del nostro tempo, che nella responsabilità umana e cristiana e nello svolgimento del suo «servizio», ha inciso e stupito in modo eroico per la sua fede, speranza e carità. Un grazie a papa Francesco per aver voluto presentare insieme, quali santi della e per la Chiesa universale, Paolo VI e il vescovo Romero, pastori per amore verso Dio e verso l’uomo.

*Vicario episcopale per il laicato e la cultura

diocesi di Trieste

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