«La mia sarà una candidatura totalmente fuori dalla logica delle correnti, nel segno di un totale rinnovamento», mette in chiaro Nicola Zingaretti con i suoi interlocutori. Che si sono fatti sempre più pressanti.

Da quando ieri mattina è venuto fuori infatti con evidenza che Zingaretti si è incontrato con Renzi e che addirittura quest’ultimo potrebbe appoggiarlo al congresso, diversi big del Pd lo hanno chiamato per metterlo sull’avviso. Siccome sul suo fronte sono già ben posizionati in vista del congresso ex segretari come Franceschini e Fassino, il capo della minoranza Pd Andrea Orlando, o personaggi del calibro di Gentiloni e Veltroni, si può ben capire quanto il rapporto con Renzi e le voci di un suo possibile sostegno sia diventata esiziale: specie per chi teme che Zingaretti possa essere fagocitato da Renzi in una sorta di abbraccio che avrebbe il sapore di un commissariamento.

Il timore dei non renziani

«Facci capire che sta succedendo Nicola», è stato il leit motive delle varie telefonate. Sono in molti a voler mettere sull’avviso il governatore, «stai attento che Matteo fa sempre così con tutti, è una sua tattica». Della serie: l’ex leader adombra un suo eventuale appoggio per scolorire il profilo della candidatura di Zingaretti, insomma per macchiarla con la sua impronta. Che invece altri vorrebbero tenere lontana da un candidato, unico vincitore del centrosinistra il 4 marzo, che ha tutte le carte in regola per imporsi ai gazebo: mestiere, esperienza, capacità di unire e non ultimo un cognome popolare in tutta Italia.

«Se mi candiderò - ha risposto il governatore - la mia sarà una candidatura totalmente sganciata dalle correnti. Dobbiamo salvare il Pd e farlo in un rapporto nuovo con L’Italia». Come a dire che anche se ci fosse un appoggio di Renzi e del suo giglio magico, «sarà a una candidatura in totale discontinuità con questi anni, per rigenerare tutto». E in ogni caso nessuno nell’entourage del governatore è sicuro che le cose andranno proprio così.

Nicola contro Matteo

Molti scommettono infatti che l’ex leader alla fine si ricandiderà in prima persona. Ascoltando le impressioni riportate da Zingaretti dopo i suoi colloqui con Renzi - perché c’è ne è stato più d’uno nelle ultime settimane - gli uomini del governatore continuano a ripetere che «non è affatto da escludere che alle primarie sarà Nicola contro Matteo».

Di questo Zingaretti non sembra preoccuparsi, anche se di certo non gli dispiacerebbe affatto godere dell’appoggio di Renzi invece di avercelo contro. Ma in ogni caso, non servirà anticipare le primarie a ottobre in gran corsa per farlo desistere: questo ha spiegato l’ultima volta all’ex segretario. E che sia già in pista lo svelano altri dettagli. Il tenore delle sue uscite pubbliche ad esempio, con la prima parola chiave, «disuguaglianza».

Una fase politica si è chiusa

«Nel contratto di governo, la parola disuguaglianza non compare e non poteva comparire viste le scelte antisociali che contiene contro le fasce più deboli. C’è molto da lavorare e il congresso deve rappresentare una netta discontinuità nei contenuti, nelle pratiche e nelle forme politiche del passato per una rigenerazione di un campo di forze politiche associative civiche e per un nuovo progetto di innovazione dell’Italia». E ancora: «L’assemblea di ieri conferma che una fase politica si è chiusa e bisogna con chiarezza voltare pagina. C’è un altro tipo di futuro per l’Italia e il Pd deve saperlo interpretare».

Il nuovo partito “alla Macron”

Ora, è vero che è tutto molto prematuro, specie se il congresso - come comincia a girare - si terrà entro le europee, ovvero magari a febbraio. Per poter poi fare le liste con le quote ridefinite. Ma dalle parti dell’ex segretario c’è chi non esclude che l’interessamento verso Zingaretti possa essere tattico; insomma, dovuto al fatto che a Renzi manca il candidato e che invece tutta l’area che lo contrasta lavora da mesi alla candidatura unitaria del governatore del Lazio; e chi addirittura adombra la possibilità che «se Zingaretti rifacesse i Ds tornando indietro, allora Matteo farebbe forse un suo partito sulla falsariga di Macron».

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