Dopo quattro anni e tanti cambiamenti (si è ritrasferito da Milano a Palermo e ha firmato per Sto Records), Johnny Marsiglia torna con Memory, un disco raffinato ed elegante. Un viaggio attraverso i ricordi del passato caratterizzato da un suono classico, che guarda agli Anni Novanta. Tredici tracce che rappresentano una vera e propria ripartenza per il rapper siciliano e il produttore Big Joe, che provano - in un panorama musicale dominato dalla trap - a offrire una valida alternativa.

In questi anni ci sono stati molti cambiamenti

«Sì, ma lo spirito con cui fare musica è rimasto sempre lo stesso. Siamo stati fermi quattro anni perché non sentivamo l’esigenza di fare un disco, abbiamo preferito non forzare la mano. Abbiamo continuato a fare musica, ed è stata come una palestra».

Il disco è un viaggio tra i ricordi e la Sicilia

«Quando l’ho scritto volevo fare una mappa di quello che sono e di quello che ho fatto, al di là del rap. Quindi vorrei che si percepisse che io e Big Joe siamo quello che siamo perché siamo cresciuti in una città come Palermo e perché abbiamo fatto tante esperienze. Mi piacerebbe che fosse un pass per far conoscere il nostro mondo al pubblico».

In Clessidra citi Primo nella strofa “mi diceva che il malessere è strumento per reagire”. Tu sei partito da una condizione di malessere per cambiare tutto e arrivare a questo album?

«Penso che la musica abbia questo scopo. Se ho dei pensieri, delle negatività, delle cose da buttare giù, cerco di farlo sempre davanti a un foglio. Primo è sempre stato uno sul pezzo e quando era in vita era sempre propositivo. Con quella barra volevo sottolineare che sono proprio i momenti peggiori quelli che ci danno l’energia per fare meglio».

Che cosa avete trovato in una nuova realtà come Sto Records?

«Dei ragazzi molto uniti che lavorano allo stesso obiettivo. Prima di firmare abbiamo sentito altre realtà, ma loro sono stati quelli che più hanno creduto nel progetto».

In O.L.G.A canti “povera terra non è colpa tua, ti camminano sopra e tu soffri”

«Perché a volte ho la sensazione che il palermitano medio non abbia tanta voglia di cambiare le cose, che sia un po’ rassegnato. Il pezzo è un ritratto scuro di Palermo, fa riferimento a quei momenti in cui la gente non vede una via d’uscita».

O.L.G.A è un acronimo di?

«Avevamo salvato così questo pezzo perché nella prima versione c’era un campione di una cantante spagnola che si chiama Olga Guillot. Poi, dopo varie modifiche, abbiamo deciso di dare al titolo un significato ben preciso. O.L.G.A sta per osservo la gente attorno».

In tutto l’album c’è un richiamo agli Anni Novanta, sia nei testi che nelle sonorità

«Sì, perché non è vero che se non fai la trap sei indietro. Oltreoceano ci sono tanti rapper che sono attualissimi nonostante non facciano quella roba lì. Per noi musicalmente nasce tutto in modo naturale, ma l’ispirazione viene da artisti come J. Cole, Kendrick Lamar, Mick Jenkins, che hanno un’impronta attuale, ma anche un sapore classico».

Storie è una traccia che parla dei media e del fatto che “sesso, violenza, trash ed odio fanno sempre audience”

«Nasce dalla sensazione di insofferenza che si prova guardando il tg. Ho scritto il testo con questa specie di cantilena per esprimere questa nausea che sentiamo di fronte al notiziario, dove siamo bombardati da mille notizie».

Sesso, soldi e droga vanno per la maggiore anche nei testi rap

«In fondo sono lo specchio della società. Noi non vogliamo dire che siamo meglio degli altri perché trattiamo gli argomenti in un certo modo. Questa è solo la nostra versione. Tendo a essere un po’ più riflessivo nei testi perché rispecchia il mio modo di essere. Non riuscirei a forzarmi e a usare un determinato linguaggio solo perché è di moda. Ho sempre pensato che più sono me stesso, più quello che faccio arriverà».

Nelle canzoni il tema del razzismo si intravede qua e là

«Sarà il periodo storico, d’altronde abbiamo da poco superato una campagna elettorale praticamente basata solo su quello. Per razzismo non intendo solo quello tra bianchi e neri, tra italiani e stranieri, ma anche quello tra poveri e ricchi. Sono cresciuto in Italia in un periodo in cui non era così normale avere un genitore straniero. A volte essere etichettato come diverso, nonostante io sia nato qui, mi ha fatto soffrire. Ma a un certo punto è diventato il mio punto di forza. Essere a contatto con due culture mi ha aiutato anche artisticamente».

In 24h dici “a chi somiglio? All’opposto del rapper di tuo figlio”

«Stiamo cercando fare questa roba nel modo più originale possibile. In Italia sembra che tutto sia abbastanza omologato. Quella frase vuole sottolineare la nostra diversità. Ora come ora, però, sembra che non ci sia spazio per il rap pieno di parole e citazioni. Ma per la prima volta sento che la strada è quella giusta, mi sento più sicuro rispetto a Fantastica Illusione».

In Italia c’è ancora un certo pregiudizio verso il rap

«Dipende da un fattore culturale. Il rap è parte integrante della cultura americana, da noi invece ha catturato l’attenzione solo da pochi anni. Quindi è normale che sia un genere per ragazzini. Molti ascoltano questa musica come un fenomeno e forse tra qualche altro passeranno ad altro. Speriamo, invece, che restino fedeli al genere».

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