«O è Paolo Savona o salta tutto». Matteo Salvini non vuole retrocedere sul suo ministro dell’Economia. Ha letto i giornali che riportavano i dubbi del Colle sull’economista, ottantaduenne e critico verso l’euro, ma non gli interessa. I 5 Stelle sospettano che tanta insistenza potrebbe essere anche dettata da un preciso disegno del leader leghista: impuntarsi su Savona fino al punto di rottura, per piazzare a via XX Settembre il suo braccio destro, Giancarlo Giorgetti.

Dietro questo possibile doppio gioco c’è un calcolo preciso sulla spartizione dei ministeri mentre affiora il malumore di entrambe le parti. «La Lega non ha neanche un ministero economico di peso», spiega un deputato molto vicino a Salvini. Se andasse in porto il suo progetto, Di Maio sarebbe titolare di un «superministero» in cui confluirebbero il Lavoro e lo Sviluppo economico. È vero che al Tesoro, stando ai patti, andrebbe un tecnico indicato dal Carroccio. Ma Savona, chi lo conosce lo sa, è una figura fin troppo autonoma e si smarcherebbe facilmente dai leader. Giorgetti, però, ha una caratura politica tale da rompere l’equilibrio informale raggiunto con il Colle sulla necessità di consegnare l’Economia a un garante dei conti italiani. E Giorgetti sarebbe più utile alla Lega a presidiare Palazzo Chigi come sottosegretario della presidenza del Consiglio.

Il compromesso, deducono i grillini, se il Capo dello Stato dovesse chiederlo, potrebbe essere Enzo Moavero Milanesi, in chiave europeista. L’ex ministro di Mario Monti è stato sondato ma non sembra così intenzionato ad accettare e sarebbe comunque difficile da far digerire a Salvini. Anche nel M5S si percepisce una delusione crescente, dentro e fuori il circolo ristretto di Di Maio. Perché la lettura che ne danno i grillini è paradossalmente opposta a quella della Lega. E qualcuno lo ha fatto presente al capo politico: il premier e il ministro degli Esteri, Giuseppe Conte e Giampiero Massolo, sono due nomi di mediazione, ma i leghisti li considerano in carico ai 5 Stelle. «In questo modo loro occupano molte più poltrone di noi». spiega un deputato del M5S indicato come possibile ministro: «Solo perché noi ci siamo mostrati più responsabili con il Quirinale».

Nel gruppo parlamentare c’è un clima di insoddisfazione, per come sono andate le cose, per le troppe concessioni fatte a Salvini. Dall’alto del suo 32 per cento, è il ragionamento diffuso, il M5S avrebbe potuto ottenere molto di più da un partner di governo fermo al 17 per cento. A parlare sono in pochi. L’economista Lorenzo Fioramonti, molto critico verso le ricette della Lega: «Restano i nodi dell’Economia e degli Esteri», ammette. Elio Lannutti è durissimo: «Governo M5S-Lega: cambiamento o restaurazione. Leggo di nomi legati a cricche e grembiulini . Massolo, ma cosa c’entra questo signore, che guida Fincantieri svenduta a Macron, coi valori del M5S?». Lannutti è un senatore e come lui la pensa la collega Paola Nugnes. Sono già due possibili dissidenti. E a Palazzo Madama la maggioranza del governo giallo-verde si regge solo su sette senatori.

Ecco perché Salvini ha voluto incontrare nuovamente la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, che al Senato dispone di 18 parlamentari. Le condizioni poste però sono difficili da accettare per il M5S. La Meloni vuole entrare in maggioranza, mettere mano al contratto (soprattutto sulle grandi opere) e firmarlo assieme a Salvini e a Di Maio. In più, vuole un posto per Guido Crosetto alla Difesa e per lei alla Cultura. Il leader grillino ha detto al leghista che può spingersi fino ad accettare Crosetto alla Difesa, perché sa che è molto gradito al Quirinale, in cambio di un semplice appoggio esterno. Anche se la stessa Meloni confessa di aver percepito la scarsa convinzione di Salvini nel persuaderla. Forse perché immagina che, nel gioco a incastro ancora molto fluido dei ministeri, i 5 Stelle non abbiano rinunciato alla chance di conquistare un’altra poltrona di rilievo.

I commenti dei lettori