Nel 2015 la scelta del gesuita Edmond Grace di votare sì alla legalizzazione del matrimonio egualitario aveva fatto scalpore anche fuori dall’Irlanda. Oggi alla vigilia di un nuovo Referendum che potrebbe introdurre un altro storico cambiamento sociale nel Paese, alla legalizzazione dell’aborto padre Edmond dice No. 

Nella casa dei gesuiti di Leeson Street, a pochi metri da St Stephen’s Green invita alla calma: «Attendiamo di vedere quali saranno i risultati». Nelle ultime ore di campagna l’incertezza infatti è la protagonista principale del clima che si respira: dai sondaggi c’é ancora un 20% di persone che non hanno deciso cosa faranno venerdì 25 maggio quando si andranno a recare alle Polling station. Proprio a questi padre Edmond si rivolge invitando a guardare alle interruzioni di gravidanza da una prospettiva quasi sempre dimenticata: quella dei medici che devono praticare l’intervento. 

Un controsenso secondo il Gesuita irlandese che parte proprio dalla freddezza del linguaggio: «Interruzione di gravidanza e feto – afferma – eliminano il bisogno di riferirsi a ogni vita oltre che alla donna la cui gravidanza viene interrotta. È una terminologia che spersonalizza il gesto quasi quanto quella dei soldati che devono "colpire l’obiettivo"». Citando le parole di Ann Furedi direttrice del British pregnancy advisory service, il Bpas a cui le irlandesi si rivolgono oggi per interrompere la gravidanza in Gran Bretagna, «le donne - dice Furedi - che chiedono l’aborto non cercano l’interruzione di gravidanza perché sono incapaci di affrontarla, ma perché non vogliono affrontarla. È una questione di scelta»; il Gesuita si dice preoccupato di una estensione del limite di aborto senza una ragione medica oltre le dodici settimane come previsto oggi dal disegno di legge già presentato dal Governo e che entrerebbe in vigore nel caso di vittoria del sì venerdì 25 maggio.

«Quale orgoglio – si chiede ancora padre Grace – un medico può esibire in quella che la dottoressa Furedi definisce la distruzione di una vita biologica? Non esiste per i medici un ambito di ricerca sugli effetti che su di loro ha la pratica dell’aborto. La loro professione si pone così in una posizione moralmente ambivalente». 

Perciò padre Edmond invita a riflettere su questo aspetto che potrebbe essere aggravato dalla legalizzazione dell’aborto. E se ci si trova nel dubbio meglio «votare no, aspettare e comprendere».

Nella campagna è evidente la scelta della Chiesa cattolica in Irlanda di non prendere parte al dibattito pubblico. Il più importante editorialista irlandese, Fintan O’Toole aveva provato a novembre a lanciare la provocazione, ma è caduta nel vuoto. Non più tardi di lunedì mattina un’altra columnist, attivamente impegnata per la campagna del sì, Una Mulally, sempre dalle colonne dell’Irish Times chiedeva provocatoriamente dove si trovassero i paladini cattolici della difesa della vita quando avvenivano nel passato tragedie come quella della Mother and baby homes di Tuam dove lo scorso anno sono stati rinvenuti resti di ossa umane appartenenti a dei minori. I due non hanno ricevuto risposta. 

Nelle venti lettere pastorali a cui hanno affidato il loro no all’aborto, oltre che al documento pubblicato dopo l’incontro primaverile della Conferenza episcopale, i vescovi si sono rivolti invece ai fedeli delle parrocchie. Nello scorso fine settimana, nella ricorrenza della domenica di Pentecoste, ci sono state anche veglie per la vita nelle parrocchie, e durante le omelie in queste settimane i sacerdoti hanno riservato parole alla posta in gioco nel Referendum. Una strategia capillare di comunicazione, dato che le diocesi dell’isola sono ventisei, comprese quelle che si trovano all’interno delle sei contee del Nord Irlanda non coinvolte dalla votazione. 

Sabato scorso è tornato a pronunciarsi il primate della Chiesa cattolica in Irlanda e arcivescovo di Armagh Eamon Martin: «Un voto per abrogare l’VIII emendamento dell’articolo 40 della Costituzione Repubblicana – quello che equipara i diritti della madre e del bambino che ha in grembo – può aprire la strada a un regime di aborto molto liberale in Irlanda, compreso un accesso senza limiti all’interruzione di gravidanza nei primi tre mesi di gestazione». Per questo entrambe le vite – quella della madre e del bambino - meritano di essere protette da una decisione irreversibile». 

Monsignor Martin precisa che «essere contro l’aborto non è solo una questione cattolica. La dignità innata di ogni essere umano è un valore per l’intera società». 

Ad Achnory, sede vescovile vacante, a scrivere ai fedeli sono stati i parroci. Raccontando come nel proprio ministero incontrano tutte le persone che sono coinvolte in una gravidanza: «Madri e padri che l’accolgono con gioia, che sono sopraffatti dalla difficoltà, che, infine, vanno incontro a delle complicazioni nella nascita di una nuova vita. Proprio queste esprienze - spiegano – ci hanno fatto capire che la meraviglia della vita umana nasce nel momento del concepimento».

All’estremo nord dell’isola c’é la diocesi di Raphoe, che si trova in parte nel Donegal, una delle contee in cui la vittoria del sì è meno scontata, anche per la mancanza di alcuni servizi di base come quelli oncologici che vengono reclamati in modo più urgente. Qui un altro gesuita, il vescovo Alan Mc Guckian, mette l’accento sul diritto fondamentale alla vita: «Voi e io lo abbiamo – dice rivolgendosi direttamente ai fedeli. Non ci è concesso dalla legge o dalla Costituzione irlandese. Lo abbiamo come diritto sia che siamo in salute, sia malati, che poveri. Per la nostra società dichiarare che qualcuno non ha questo diritto e sottrarglielo è un grave passo indietro».

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