«La scoperta di che cosa comporta davvero essere cristiani non avviene ovviamente attraverso la lettura di libri sull’argomento, ma grazie allo sforzo di vivere giorno per giorno accogliendo Gesù Cristo nella nostra vita; ci ritroviamo a dover far fronte all’arduo compito che ciò che diciamo sia credibile. D’altra parte, è lo sforzo continuo di rendersi “trasparenti” a Cristo che ci insegna a sua volta che cosa significhi essere cristiani». Così Rowan Williams in un suo nuovo «segmento» del Vademecum della vita cristiana dal titolo “Essere discepoli” appena pubblicato dall’editrice Claudiana. Un titolo di due parole che, per il teologo britannico, già arcivescovo di Canterbury e primate della Comunione anglicana, significa almeno due cose: «Prima di tutto, chiedersi continuamente se i nostri pensieri, parole e azioni lascino spazio a Cristo e al suo Spirito; inoltre affinare l’arte di porci domande complesse riguardo alla nostra coerenza e onestà e alla serietà con cui prendiamo le nostre parole».

Essere discepoli dunque, come una comunità di apprendimento, all’interno della quale crescere grazie alle relazioni tra noi e con Dio. Affrontano questi ed altri temi i sermoni raccolti in queste pagine, introdotti da rimandi al Nuovo Testamento, concentrati su Cristo, pensati originariamente per un pubblico cristiano laico di ogni età e provenienza, sviluppati con grande chiarezza e rispetto del significato delle parole usate. Come lo stesso autore ha fatto in precedenza in “Essere cristiani oggi” fermandosi sul Battesimo, l’Eucarestia, la preghiera e la Bibbia, nella consapevolezza che: «Il discepolato è un modo di essere. Riguarda la maniera in cui viviamo, non solo le decisioni che prendiamo o le cose in cui crediamo, ma realmente un modo di essere». Dalle brevi, essenziali, disamine dove l’autore si ferma sullo «Stare con Gesù» o l’ «Essere con il Padre attraverso il Figlio», sino agli ultimi capitoletti «Siamo tutti ugualmente importanti per Dio», «Ognuno di noi dipende dagli altri», «Come possono i cristiani fare la differenza?», «La vita nello spirito» (con soste intermedie sui binomi «fede e comprensione», «speranza e memoria», «amore e volontà») tutte le sezioni vengono fatte seguire da spunti di riflessione.

Di grande interesse la domanda cui Williams tenta qui di rispondere, ovvero: «Che posto ha il discepolato cristiano nella moderna società democratica?». Molte persone, soprattutto in Europa, confinano tutto in una risposta semplice attinente solo alla sfera privata. Credere e praticare una o l’altra religione è un fatto personale, individuale, senza influenza sul nostro modo di agire come cittadini nella società: una questione difesa giuridicamente se necessario, ma estranea alla politica pubblica. Così a partire dall’illuminismo e dalla fine delle guerre di religione, quando - scrive l’ex arcivescovo di Canterbury - «vi fu un forte e comprensibile desiderio di evitare ulteriori conflitti basati sulla religione e un profondo sospetto nei confronti dell’autorità religiosa, vista come un’istituzione opprimente e irrazionale». «Molti intellettuali credevano che il comportamento morale, unito a una vaga reverenza per un creatore soprannaturale, fosse qualcosa che tutte le persone ragionevoli erano capaci di cogliere e mettere in pratica; non c’era alcun bisogno di rivelazioni calate dal cielo, o di istituzioni religiose con sacerdoti e libri sacri per dire loro cose che erano in grado di capire da sé. Le autorità religiose non avevano posto nel governo di un paese».

In seguito però qualcosa è cambiato parallelamente all’affermazione sempre più forte, dell’idea dei diritti umani, a partire dal diritto umano universale alla libera scelta. Così la società ideale appare come quella in cui il governo, «non dà riconoscimenti o privilegi ad alcun organismo religioso, consentendo alle religioni di esistere come associazioni private, finché non minacciano il modo in cui la società svolge la propria attività». A ben vedere se ciò vale ad esempio per la Francia e, almeno in teoria, gli stessi Stati Uniti, altri Paesi - come l’Italia, la Gran Bretagna, la Germania - vedono ancora invece un certo riconoscimento pubblico, in particolare, i valori cristiani in particolare. Un dato che ad intermittenza è causa di aspri dibattiti. E qui arriva l’articolata risposta di Rowan Williams, non senza aver prima individuato i modi con cui il discepolo cristiano viene influenzato da esso e, ancor prima, le due preoccupazioni collegate. La prima a riconoscere che il mercato non garantisce un’equa distribuzione delle risorse; la seconda ad attestare la prevalenza di modelli di comportamento consumistici, al punto che difficilmente si fa qualcosa senza ritorni economici.

«Fino a poco tempo fa, le disuguaglianze della società erano attutite dalla rete delle agenzie e delle organizzazioni di volontariato, […]. Ma oggi lo spirito del volontariato riceve sempre meno incoraggiamento», afferma l’autore di “Essere discepoli”. Che qui però pensa probabilmente alla situazione del Regno Unito o dell’Europa più che del nostro paese, egualmente coinvolto tuttavia nella crisi generale della vita familiare, demografica, e nei nuovi incubi - dall’ingegneria genetica all’inquinamento ambientale- ecc. Detto ciò, facile convenire che indietro non si torna, né sia auspicabile una società governata secondo principi religiosi rigorosi (come invece credono i musulmani tradizionalisti). «Tuttavia, il dialogo con l’islam ha fatto ricordare alle nostre società occidentali che non tutti nel mondo danno per scontata la stessa base “razionale” e laica per la vita sociale». E non è poco.

In ogni caso, non trovando sintonia con la concezione teocratica islamica ora richiamata, che cosa abbiamo da offrire al suo posto come base per una società morale? «Il mio suggerimento è che abbiamo bisogno di due principi della fede cristiana e del discepolato per gettare almeno parte di questa base: di fronte a Dio abbiamo tutti lo stesso valore e siamo tutti dipendenti l’uno dall’altro. Non possiamo fare a meno di questi principi se vogliamo garantire vera giustizia, pace e stabilità durature». Siamo tutti ugualmente importanti per Dio, è la tesi dell’autore. Che avverte: «Per il discepolo cristiano, la dignità umana, e quindi ogni nozione di diritto umano, dipende dal riconoscimento che ogni persona è legata a Dio prima che a qualsiasi altra cosa o persona. Dio ha definito chi siamo e chi possiamo essere secondo il suo proposito eterno, che non può essere alterato da nessuna forza o circostanza in questo mondo. Possiamo rifiutare la chiamata o rimanerne ostinatamente inconsapevoli, ma Dio continua a chiamarci e a offrirci ciò di cui abbiamo bisogno per soddisfare la nostra chiamata. La misura in cui questa chiamata viene accettata o rifiutata ha conseguenze per l’eternità».

Anche restando nella cornice delle moderne democrazie l’ex primate della comunione anglicana ribadisce poi che: «La più grande influenza pubblica che può essere esercitata dai discepoli cristiani» risiede nel «diffondere il messaggio contenuto in quei comportamenti che promuovono il rispetto radicale […] L’attività volontaria che trasmette questo messaggio avrà il potenziale, nel tempo, di cambiare ciò che la società dà per scontato», e- pochi passaggi dopo - che «Una democrazia sana, dunque, è quella in cui lo Stato ascolta la voce della visione morale che proviene da comunità che non dipendono dallo Stato stesso per la loro integrità e lungimiranza». In ultima analisi «Essere discepoli» significa: «essere chiamati a vedere gli altri, e soprattutto coloro che si trovano in una condizione di profondo bisogno, dalla prospettiva di un amore eterno incrollabile e inalterabile». Un piccolo libro che presenta pagine sul discepolato ricche nei fondamenti biblici e teologici necessari a vedere con maggiore chiarezza la via di Gesù. Pagine paradossalmente spesso al contempo convenzionali e anticonvenzionali, e che ci dicono qualcosa anche di chi le ha scritte.

“Essere discepoli” di Rowan Williams - Claudiana, pag. 80; euro 11,90

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