«La nostra terra è devastata». E a farne le spese sono, come sempre, le popolazioni povere e fragili. A lanciare l’allarme, che corrobora il grido di Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si’, è la Conferenza episcopale italiana nel documento “Coltivare l’alleanza con la terra” stilato in vista della 13esima Giornata nazionale per la Custodia del Creato che si celebrerà il 1° settembre 2018. 

L’analisi dei vescovi sulle condizioni del pianeta, afflitto da cambiamenti climatici e inquinamento, è drammatica: «Sempre più spesso la nostra terra - città, paesi, campagne - è devastata da fenomeni atmosferici di portata largamente superiore a ciò che eravamo abituati a considerare normale. Anche gli ultimi mesi hanno visto diverse aree del paese sconvolte da eventi metereologici estremi, che hanno spezzato vite e famiglie, comunità e culture - e le prime vittime sono spesso i poveri e le persone più fragili», scrivono.

Nel documento - che reca la data di giovedì 31 maggio - i presuli citano anche «le storie narrate da tanti migranti, che giungono nel nostro paese chiedendo accoglienza», in cui si parla di «fenomeni inediti che colpiscono - in modo spesso anche più drammatico - aree molto distanti» del globo. È evidente che non è solo il cambiamento climatico «l’unica minaccia legata alla crisi socio-ambientale», si pensi all’«inquinamento diffuso ed ai drammi che talvolta esso porta con sé». 

A farsi strada è «un senso di impotenza e di disperazione, come fossimo di fronte ad un degrado inevitabile della nostra terra», osserva la Cei. Che, tuttavia, proprio prendendo spunto dall’invito del Papa nella sua enciclica “verde”, esorta «a non cedere alla rassegnazione». «Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno» dice l’episcopato italiano citando la Genesi, e assicura che «Dio promette un futuro in cui l’umanità e gli altri viventi possano fiorire nella pace».

Certo è che serve un contributo da parte di tutti perché la «gravità del mutamento climatico in atto», al di là di quanto affermato da certe «forme di negazionismo antiscientifico», è evidente che esso «sia legato in gran parte a comportamenti umani, che possiamo modificare». 

Il secondo capitolo della Laudato sì sottolinea infatti «come quel mondo creato, che ci è dato come dono buono, sia anche affidato alla cura delle nostre mani, per custodirne l'abitabilità preziosa». Ecco, allora, «che lo sguardo preoccupato per la devastazione del territorio a seguito del riscaldamento globale dovrà farsi attiva opera di prevenzione», affermano i vescovi italiani. 

Si tratterà di «proteggere città e campagne con serie misure di adattamento, in grado di favorire la resilienza di fronte ad eventi estremi»; ma, soprattutto, «di promuovere un’azione di mitigazione, che contribuisca a contenere i fattori che li determinano». 

Particolare rilievo avrà in tal senso la Conferenza internazionale Cop 24, che si terrà a Katowicze in Polonia nel dicembre 2018: è un’occasione, afferma la Cei, «per ripensare ed approfondire le iniziative contro il mutamento climatico avviate tre anni fa dalla precedente Cop 21 svoltasi a Parigi». Sarà importante «che l’Italia svolga un ruolo attivo e lungimirante in tale contesto, proponendo impegni realistici ed ambiziosi per l'azione della comunità internazionale. Il criterio sarà quello di un bene comune inteso in prospettiva ampia, ad includere le generazioni future e tutte le creature», scrive la Conferenza episcopale.

Nella stessa direzione, cioè quella della costruzione di una società “decarbonizzata”, dovranno pure essere fatte «scelte efficaci» da parte del nostro paese «nel campo della politica e dell'economia ambientale». In questo modo, assicura la Cei, sarà «possibile collegare la promozione di un lavoro dignitoso con una attenzione forte per l’ambiente… La vocazione umana a coltivare la terra non può che andare di pari passo con quella a custodirla».

Ma non sono solo economia e politica ad essere coinvolte in questa sfida: «c’è anche una prospettiva pastorale da ritrovare», sottolineano i presuli, «nella presa in carico solidale delle fragilità ambientali di fronte agli impatti del mutamento, in una prospettiva di cura integrale». In sostanza, «occorre ritrovare il legame tra la cura dei territori e quella del popolo, anche per orientare a nuovi stili di vita e di consumo responsabile, così come a scelte lungimiranti da parte delle comunità». 

Da non dimenticare, infine, il contributo dell’ecumenismo in questo impegno comune per la cura del creato: «È una sfida che le chiese cristiane stanno imparando ad affrontare assieme», recita il documento. «La celebrazione condivisa del Tempo del Creato è anche un segno importante nel cammino verso la comunione tra le chiese» come testimoniato anche dal messaggio del 2017 di Papa Francesco e del Patriarca Bartolomeo. «È importante operare assieme, perché possiamo tornare ad abitare la terra», conclude la Cei, «illuminati dal “Vangelo della creazione”».

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