Dopo cinquanta giorni esatti dal suo pronunciamento, la Santa Sede ha diffuso oggi pomeriggio il testo integrale del dialogo di Papa Francesco con circa duemila studenti dei Collegi ecclesiastici romani durante una udienza avvenuta il 16 marzo scorso, in Aula Paolo VI. Un discorso lunghissimo, tutto a braccio, in cui il Pontefice, tra battute e metafore, fornisce suggerimenti utili per la formazione e per vivere vocazione e sacerdozio. Il testo non era stato reso pubblico quel giorno dalla Sala Stampa vaticana per volontà dello stesso Pontefice(nel pomeriggio, tuttavia, erano state pubblicate una stringata cronaca su L’Osservatore Romanoun servizio su Vatican News che riportava qualche contenuto in più dell’incontro).

In un contesto evidentemente rilassato e confidenziale, Francesco ha risposto a tutto campo alle domande di cinque tra seminaristi, diaconi e sacerdoti: un francese, un sudanese, un messicano, un italoamericano e un filippino. 

Al primo di nome Louis che domandava come «perseverare sulla strada del discepolato», Francesco ha spiegato anzitutto che «il discepolo missionario non può camminare da solo». «Il missionario è in cammino. Se tu sei prete, non puoi essere un prete “quieto”, un prete da sacrestia, da ufficio parrocchiale, un prete che ha scritto sulla porta: “Si riceve soltanto lunedì, mercoledì, venerdì da tal’ora a tal’ora” e “Si confessa il tal giorno da tal’ora a tal’ora”: peccate prima, perché dopo non si confessa. Non si può. Tu sei in cammino», spiega Francesco.

E in questo cammino ci sono delle sorprese da scoprire attraverso «l’ascolto». L’ascolto «del Signore», naturalmente, ma anche «dei bisogni dell’umanità, dei problemi». Ascolto che diventa quindi «preghiera» per non rischiare di diventare «sordi» alle parole di Dio. E se la Parola ti risulta «spenta» vuol dire che «tu hai spento lo zelo, tu hai cambiato un po’ di registro e soltanto hai imparato ad ascoltare altre cose».

Cammino e ascolto, ma anche «fraternità». «“Ma questo è facile!”. Non è facile – dice Papa Francesco -. Adesso è facile, perché siete tutti riuniti, tutti in un collegio con tanti sacerdoti al vostro servizio e al vostro aiuto; ma quando sarai in una parrocchia, quando sarai in un’università facendo scuola, questo non è facile perché la comodità, la mondanità ti porteranno a non essere in cammino. Perché stanca, essere in cammino». Attenzione, però, perché poi «la vita incomincia a rimpicciolirsi» e si diventa «come quei sordi che non ascoltano certe cose ma ascoltano le altre». «Sordi a scelta», afferma Bergoglio.

Se non si è vigili, si finisce così. È importante pertanto vivere la «fraternità»: con gli amici, con i preti più vicini e con il proprio padre spirituale. Che non deve essere necessariamente un presbitero perché la direzione spirituale è «un carisma laicale». Addirittura il Papa consiglia di farsi «accompagnare» da due guide diverse: uno come confessore, l’altro come padre spirituale. L’importante è che abbiano «il carisma per accompagnarti» e «la capacità di ascoltare».

L’accompagnamento è fondamentale, infatti, quando iniziano a scatenarsi i «demoni della vita». Il «demonio meridiano», il famoso “cuarentazo” come lo chiamano in Argentina, il diavolo «della mezza età» che si presenta in mezzo a «tante altre difficoltà, tutte nate dal peccato originale e dalla tentazione». A proposito del diavolo, Papa Francesco riporta un aneddoto personale: «L’altro giorno si è avvicinato un prete che aveva letto una cosa che io avevo scritto sulla vita spirituale, non ricordo cosa fosse, e mi ha detto: “Stia attento, perché Lei ha nominato il diavolo, quella volta, e questo si vendicherà! È meglio non nominare il diavolo, far finta che non esista”. No, il diavolo esiste! E il diavolo – come dice Pietro – fa la ronda, come “leo rugens”».

Rispondendo poi a Nebil, proveniente dall’Africa, che affronta il tema del discernimento, il Vescovo di Roma si toglie un sassolino dalla scarpa: «Le cattive lingue dicono che “adesso è di moda il discernimento: questo Papa è venuto qui con questa storia… Cosa c’entra qui?”. Ma il discernimento è nel Vangelo!».

Tutta la storia della Chiesa «è una storia di discernimento». «Saper capire, nella vita: questo va, questo non va; questo viene da Dio, questo viene da me, questo viene dal diavolo. Questo è elementare, è elementare: è un linguaggio fondamentale per la vita di ogni cristiano, tanto più di un sacerdote». E perché il discernimento sia «giusto e vero» servono due condizioni: primo, la preghiera, l’altro il confronto, magari con una persona che «non ti risolve [il problema] ma ti dice: guarda questo …, questa non sembra una buona ispirazione per questo motivo, questa sì…».

Questo aiuta tantissimo. Jorge Mario Bergoglio lo ha sperimentato sulla propria pelle, dopo aver «fatto due anni di noviziato… senza discernimento», dice tra le risate dei presenti, grazie al suo professore di metafisica, «un gesuita bravissimo, padre Fiorito», che «era uno specialista, non solo teorico ma pratico, nel discernimento».

«Il discernimento è importante», incalza Francesco. Quando nella vita sacerdotale non c’è discernimento «c’è rigidità e casistica». E tutto diventa «chiuso», lo Spirito Santo «non lavora» e si spegne qualsiasi «emozione spirituale». Il contrario non è fare tutto ciò che si vuole, precisa il Papa, ma usare «un altro linguaggio», lasciarsi coinvolgere «in una maniera diversa». «Non lasci ai libri che dicano una cosa o un’altra», insomma. 

«Tanti, tanti preti, tanti preti – lo dico con buono spirito, con tenerezza e con amore – tanti preti vivono bene, in grazia di Dio, ma come se lo Spirito non esistesse. Sì, sanno che c’è uno Spirito Santo, ma nella vita non entra», osserva Francesco, aggiungendo anche che «la bontà sta sempre nella bontà interiore unita al dialogo con lo Spirito». E, quando c’è, lo Spirito Santo porta anche «il senso dell’umorismo». «Per capire se una persona è arrivata a una grande maturità spirituale, domandiamoci: “Questo ha senso dell’umorismo?”. È l’atteggiamento umano più vicino alla grazia», ribadisce Francesco. E ai giovani, spesso «narcisisti» che si guardano allo specchio, si pettinano…», consiglia: «Ridete di voi stessi. Vi farà bene». 

Sulla stessa scia il Papa dialoga con il messicano Jorge Moreno parlando di quei sacerdoti «buoni» ma che «hanno una mancanza di sviluppo della personalità, una mancanza di educazione». «Tu trovi un sacerdote così, ad esempio un sacerdote triste ma che umanamente è incapace di piangere» o, al contrario, «incapace di gioire, anche di spendere tempo con altri sacerdoti amici». Quando succede lì manca qualcosa, afferma, «manca la formazione umana», manca «la parte umana». E «tanti sacerdoti soffrono perché non sono capaci di esprimere quello che portano dentro di sé: sono stati bloccati, hanno tagliato dalla loro personalità cose buonissime, capacità grandi, e non sono cresciuti in questo». È importante, invece, salvaguardare «la capacità sociale, di socievolezza, la capacità di rispettare gli altri, anche quelli che la pensano in un altro modo, la capacità di gioire con gli amici, di fare una bella partita a calcio…, di queste cose di cui [qualcuno pensa] “no, ma un sacerdote non può…”. Tante capacità umane che non si sviluppano…».

Purtroppo, rileva Francesco, «in alcuni posti, in alcuni tempi, la capacità umana di inserirsi socialmente non è stata aiutata nella formazione». Alcuni presbiteri sono stati «educati male»: «Devi comportanti così, rigidamente» e via dicendo. «Questo fa male alla capacità umana della spontaneità». È vero che essa «può portare a qualcosa di brutto, ma questo è un pericolo che tu devi discernere e difenderti da questo. Ma una persona normale – dico normale, umana – che va a fare visita a un malato e lo ascolta, e gli prende la mano, in silenzio: questo è umano».

Umano è anche «essere padri» non patrigni. E umano è saper «accarezzare bene». «Sentite bene questo – dice Bergoglio -: se voi non sapete accarezzare bene come padri e come fratelli, è possibile che il diavolo vi porti a pagare per accarezzare. State attenti».

Da qui, ancora una volta la raccomandazione a non diventare «funzionari del sacro», «impiegati di Dio» che «fanno il loro mestiere» ma «non sanno dare vita». «Quanti fra noi sono zitelloni!», esclama Francesco, «che tu quando li senti predicare o li senti parlare hai voglia di domandare: “Ma dimmi, cosa hai preso tu a colazione oggi? Caffelatte o aceto?”». 

Ancora, rispondendo al diacono Luigi, il Papa affronta il tema della «diocesanità» intesa come il rapporto con il vescovo che non sempre può essere facile ma che è basilare, perché quando è assente «manca il rapporto con il padre». «Ognuno di voi deve domandarsi: come è il rapporto mio con il vescovo? “Ma questo è cattivo, è nevrotico”. Come è il rapporto mio con mio papà, che è cattivo e nevrotico? Cosa consigliereste voi a un ragazzo che viene e ti dice che il papà è in carcere? Per esempio. O che il papà bastona la mamma – il vescovo che bastona la Chiesa. Voi dareste un consiglio: “Prega per tuo papà, avvicinati a tuo papà”, ma mai direte: “Cancella tuo papà dalla tua vita”», spiega Francesco.

Non manca, inoltre, un monito sul «chiacchiericcio» che «è la lebbra del presbitero» ed è una cosa ben diversa dal parlare con lealtà e franchezza. Quando, durante ad esempio una riunione, «parla uno che non ti va bene, tu lo giudichi subito o cerchi di ascoltare bene e di capire quello che ha detto?». O magari, finito l’incontro, te ne vai con due o tre amici a dire: «Ma guarda cosa ha detto quello stupido, cosa ha detto quello e quello…».

Attenzione, quindi, a salvaguardare il proprio rapporto con il padre (il vescovo) e i fratelli (gli altri presbiteri). Da questi dipende anche il futuro rapporto con i fedeli.

Da ultimo Papa Francesco parla di «debolezze», quelle sessuali e quelle legate alle comunicazioni virtuali. Il tema è suscitato dalla domanda di don Michael Aguilar delle Filippine (simpatico il siparietto tra il Papa e il sacerdote che dice: «Io vengo dal continente dell’Asia, dove è nato Gesù, dove è nata la Chiesa» e Francesco che replica: «Non ho capito bene: Gesù è nato a Manila?»). 

Francesco spiega che «la formazione permanente nasce un po’ dall’esperienza della propria debolezza; non ti danno un certificato di santità perpetua quando ti ordinano: ti mandano lì, a lavorare, e che Dio ti aiuti e che non ti mangino i corvi». Bisogna essere allora «coscienti» della propria debolezza, specie in questa cultura contemporanea ipertecnologizzata che «entra nell’anima». «Come entro, io, nel mio telefonino, nelle mie comunicazioni virtuali? Voi sapete bene di cosa parlo: cosa cerco di guardare, per curiosità? E voi lo sapete», domanda Bergoglio. 

Il Papa parla pure della «sfida del celibato». «State preparati perché “Se io avessi conosciuto questa donna prima di ordinarmi!”. In spagnolo si dice: “tarde piaste”, cioè “te ne sei accorto tardi”. Ma voi siete uomini normali, voi avete il desiderio di avere una donna, per amare. E quando venisse questa possibilità, come reagireste? Voi avete il desiderio di generare dei figli? Non solo spirituali, ma degli altri? Questa è una cosa che abbiamo nella nostra natura data da Dio. E poi, la comodità nel proprio ministero: “ma, se è un po’ più comodo, non farlo con tanto sforzo…”». 

Tutte queste cose, adesso nel tempo degli studi, «sono facili da risolvere, ma poi, nella vita, sarete più soli e queste cose ci saranno. Alcune sono cattive, altre buone; ma ci saranno», avverte il Papa. Per questo invita ad una solida «formazione permanente» basata su «quattro pilastri»: spirituale, intellettuale, apostolica e comunitaria. È necessaria non solo «per risolvere le tentazioni, ma anche per stare un po’ nell’attualità, nello sviluppo della pastorale, della teologia, della vita della Chiesa».

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