La Chiesa cattolica riserva «un’attenzione positiva» al fenomeno epocale delle migrazioni «che vuole principalmente educare a superare mentalità e azioni che nascondono un rifiuto dell’altro o si riducono alla sua esclusione, fino a più ampie limitazioni di diritti e libertà o ad ingiustificate criminalizzazioni nei confronti di coloro che spinti dai motivi più diversi lasciano la terra di origine per installarsi in un altro Paese». Lo affermava monsignor Agostino Marchetto in un testo che non perde la sua attualità.

 

Marchetto è stato segretario del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti dal 2001 al 2010, anni durante i quali non ha lesinato critiche a provvedimenti come il «pacchetto sicurezza» dell’allora Governo italiano Pdl-Lega, che conteneva misure quali l’introduzione del reato di immigrazione clandestina e la possibilità di organizzare le ronde in città, o le espulsioni dei rom da parte dell’esecutivo francese, episodio che spinse il presule a ricordare che il popolo zingaro era stato vittima dell’Olocausto. Ora l’Arcivescovo, che coltiva studi storici incentrati in particolare sull’epoca del Concilio Vaticano II, ripropone un suo intervento preparato in occasione di un convegno che si svolse ad aprile del 2016 al Campidoglio ed era intitolato «Migrazioni: fattori di conflitto o di pace?».

 

Marchetto partiva da un interrogativo: «È possibile che le migrazioni possano favorire il superamento dei conflitti, l’incontro tra le civiltà, come pure il dialogo fra le diverse esperienze religiose, fra concezioni e modi di vita differenti?». Di fronte alle «nuove realtà di società dimensionate sulla coesistenza tra identità molteplici, frutto di un mondo in cui la mobilità umana è fenomeno strutturale e non occasionale», il Presule sottolineava come, dalla prospettiva religiosa, vi è «l’urgenza di offrire testimonianza, assistenza e solidarietà. La dimensione religiosa – proseguiva – si trova, dunque, impegnata almeno ad affrontare coerentemente esigenze molteplici, a concorrere nella risoluzione di crisi e di destabilizzazioni che, spesso con superficialità, portano a guardare al fenomeno migratorio con un certo sospetto, quale fattore di incertezza e di conflitto. Un’attenzione positiva, direi, che vuole principalmente educare a superare mentalità ed azioni che nascondono un rifiuto dell’altro o si riducono alla sua esclusione, fino a più ampie limitazioni di diritti e libertà o ad ingiustificate criminalizzazioni nei confronti di coloro che spinti dai motivi più diversi lasciano la terra di origine per installarsi in un altro Paese. Per la Chiesa cattolica questo significa cura pastorale, inserita in quella più ampia azione di accoglienza e di amore verso l’altro che è propria dell’impegno della comunità dei battezzati, ma è anche motivo di elevare la voce perché mai sia dimenticata la giustizia intesa come rispetto dei diritti della persona e non solo applicazione di misure legislative, così da porre le basi per una convivenza pacifica e duratura».

 

Senza nascondere i «sentimenti contrastati, di risentimento da parte della popolazione dei Paesi di approdo, specie quando la coabitazione diviene difficile per differenze etniche, linguistiche, culturali e religiose», né i dissidi che nascono tra lavoratori migranti e autoctoni, l’Arcivescovo Segretario del Pontificio Consiglio ora confluito nel nuovo Dicastero vaticano per la Promozione dello Sviluppo umano integrale ricordava le diverse analisi che «considerano le migrazioni, e meglio si direbbe i migranti, come costruttori di una rete di rapporti e di scambi che vanno oltre le dimensioni nazionali, quasi elementi privilegiati per superare i conflitti e favorire la costruzione di rapporti tra Paesi, culture ed aree differenti. In modi diversi, il migrante in sostanza è visto come un potenziale strumento di crescita e beneficio sia per le aree di origine, sia per quelle di approdo».

 

Quanto all’elemento religioso, affermava il diplomatico vaticano, esso diventa un «essenziale fattore per una comune visione di governance delle migrazioni e quindi della situazione dei migranti verso i quali sono chiamati ad operare molteplici soggetti, responsabili o almeno coinvolti. Una visione fondata sul valore della reciprocità e della comunione tra persone, Stati, Istituzioni internazionali, in grado di rimuovere rigide posizioni e garantire scelte per l’immigrazione dove non prevalgono solo prospettive legate alla sicurezza e al profilo economico, ma pure una dimensione sociale, culturale e, non ultima, religiosa capace di esprimersi attraverso lo strumento legislativo garante di diritti e di doveri. Sicurezza legata altresì al benessere dei migranti, volta a contemperare limiti all’ingresso e libertà di movimento, ma soprattutto strumento a favorire una relazione non solo interculturale, ma anche intergenerazionale. È quanto richiede l’uguaglianza dell’umana natura e il rispetto della dignità di ogni essere umano. Per la Chiesa cattolica – concludeva Marchetto citando l’istruzione Erga migrantes caritas Christi – questo significa che “l’attenzione al Vangelo si fa così anche attenzione alle persone, alla loro dignità e libertà. Promuoverle nella loro integrità esige impegno di fraternità, solidarietà, servizio e giustizia”, per quel bene universale che chiamiamo pace».

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