Uno dei suoi studiosi, padre Rodolfo Saltarin, cappuccino, vice postulatore della causa di canonizzazione, non ha dubbi. L’ha definito un precursore della devozione al Sacro Cuore che egli propagò decenni prima della stessa Margherita Maria Alacoque. Afferma: «Anticipando di un cinquantennio le rivelazione fatte alla santa visitandina nel 1675 da Gesù in persona, che le ha mostrato il suo Cuore, scrisse pagine di straordinaria bellezza sul Sacratissimo Cuore di Gesù, nel quale contemplava dolori e amore, al cui servizio impegnava se stesso e gli altri..». Parliamo del Beato Tommaso da Olera, figura singolare di cappuccino laico nato in una borgata a pochi chilometri da Bergamo (nel 1563) e morto in convento a Innsbruck (1631), dopo una vita di questua sulle strade polverose d'Europa e nelle corti come apprezzato consigliere di potenti famiglie. 

Una vita interessante però, innanzitutto sotto il profilo spirituale. Perché Tommaso, mentre negli anni della formazione era stato alla scuola del «nudo Crocifisso», nella vita di frate questuante era sempre rimasto alla scuola della «piaga del costato di Cristo». E il suo stile era quello di stare alla «mensa della contemplazione». Vestito il saio privo d’istruzione, pur da illetterato, proprio lui - che aveva studiato pochissimo, praticamente nei soli tre anni di novizio a Verona (durante i quali i superiori gli insegnarono a leggere e scrivere, facendo eccezione al divieto «quelli che non sanno lettere, d’impararle») - ha lasciato trattati di mistica e ascetica rilevanti, mai sfuggiti agli specialisti, pubblicati in edizione critica a cura di Alberto Sana ed è oggetto di continui convegni come quello a Bergamo, lo scorso anno, cui faceva riferimento ieri il sito Vatican News presentandone gli atti editi dalla Morcelliana sotto il titolo “Totus ardens”.

Ma restiamo sul Sacratissimo Cuore del quale ricorre oggi la solennità: più che un’immagine per devoti - come diceva l’anno scorso Papa Francesco - «il cuore della rivelazione, il cuore della nostra fede perché Cristo si è fatto piccolo» scegliendo la via di «umiliare se stesso e annientarsi fino alla morte» sulla Croce. «Per quanto riguarda il Sacro Cuore, Tommaso riceve una tradizione spirituale vincolata, in molti modi diversi, ad una specifica forma di appartenenza alla comunità cristiana (nel suo caso quella della fraternità cappuccina), e viene poco prima del deciso allargamento di questo alveo multiforme di tradizioni spirituali verso lo spazio condiviso da tutti del credere cattolico (appunto, il suo divenire devozione di popolo). Egli si trova dunque in una posizione di transito e soglia al tempo stesso», ha scritto il teologo Marcello Neri.

E aggiunge: «Ed è a partire da questa posizione che Tommaso ritaglia dall’interno uno spazio in grado di accogliere l’esperienza di fede, che è singolarmente propria del credente in quanto individuo. Facendolo per sé, ossia a partire dalla sua personalissima esperienza di Dio, egli disegna una forma di relazione credente con il cuore di Gesù ospitale per l’esperienza di chiunque – anche quando questa si produrrà come figura della socialità ecclesiale della fede» . 

Già, ma il Tommaso da Olera definito precursore di Maria Alacoque? Secondo Neri, che oggi insegna Teologia cattolica all’Università tedesca di Flensburg: «Tra Tommaso e Margherita Maria Alacoque la differenza sta esattamente nella destinazione della relazione che la fede intesse con il cuore di Gesù: esperienza del singolo per il primo, allargamento alla socialità condivisa da tutti per la seconda». Inoltre su altri punti emergono delle divergenze. «La prima: la riparazione è per Tommaso un’esigenza prevalentemente personale, nel senso di una rinnovata conversione di se stessi a Dio, mentre nella Alacoque assume un carattere sociale, espiazione per gli altri, esigenza di solidarietà con Gesù. Inoltre, la devozione di Tommaso rimane piuttosto nel campo mistico, contemplativo: non richiede alcuna pratica esteriore di culto; con l’Alacoque, invece, passa anche nel campo ascetico, poiché si esprime in forme esteriori di culto pubblico e in conseguenti pratiche riparatrici».

Una differenza che si generò, a ben guardare, in un arco cronologico relativamente breve, essendosi mutate le condizioni storiche e culturali in cui venivano vissute le forme della disposizione spirituale riferite al Sacro Cuore. Nel lungo tragitto della referenza religiosa al cuore di Gesù, il cappuccino laico bergamasco occupa una delle posizioni più delicate: «quella di trovarsi esattamente nel punto del passaggio trasformativo che chiede di ospitare l’individuazione della fede, come esperienza del singolo credente, all’interno di un alveo di tradizioni spirituali sostanzialmente già ben assestate all’interno del vissuto ecclesiale. Compito a cui fra Tommaso ottempera felicemente», sintetizza ancora Neri. 

«Certo non mettendosi a tavolino, e nemmeno in maniera riflessa e pienamente consapevole – ma è sempre così quando la fede è all’altezza della sfida del tempo e del desiderio di Dio». Leggendo gli scritti del Beato di Olera, la congiunzione fra la sua esperienza di Dio e il referente concreto del cuore di Gesù, appare del tutto naturale, quasi una conseguenza inscritta già nelle premesse di quella singolare esperienza È, di fatto, il fondamento di tutta l’impalcatura dell’allargamento della tradizione spirituale che si rifà al Sacro Cuore in cui sfocia la scrittura religiosa di fra Tommaso. 

Conclude Neri: «Ecco perché un pieno apprezzamento di tale felice esito chiede di seguire in dettaglio gli snodi vitali della singolare esperienza di agape che ha caratterizzato il suo vissuto di fede. Questo a vantaggio del modo di credere nel Dio di Gesù per la nostra stessa contemporaneità della fede, perché negli scritti di fra Tommaso vi sono spunti e intuizioni che la teologia, nel corso della modernità, ha lasciato da parte come fossero una quantité négligeable, ma che assumono un rilievo imprescindibile per il vissuto cristiano nell’ora presente».

Marco Vannini, studiando la religiosità popolare di Tommaso da Olera, e soffermandosi sulla devozione al Sacro Cuore diffusasi «mezzo secolo più tardi, a partire da Paray-le-Monial, ove Maria Margherita Alacoque ebbe le visioni da cui la devozione prese appunto origine», ha richiamato l'attenzione sui due confratelli quasi coetanei di fra Tommaso, ovvero il padre Giuseppe du Tremblay da Parigi, celebre «eminenza grigia» e consigliere del cardinale Richelieu (1577-1638), e Lorenzo da Parigi (1563-1631), che possono essere considerati precursori di tale devozione, non dimenticando che la meditazione sulla Passione di Gesù è stata al centro della letteratura ascetica e nella prassi del movimento francescano e cappuccino del XVI. 

«Non meraviglia» - conclude Vannini - , dunque «che fra Tommaso, anche senza avere ricevuto un’influenza diretta attraverso letture, abbia comunque per così dire respirato nei suoi conventi un’atmosfera favorevole alla spiritualità che fu sua propria, incentrata appunto sulla Passione e sulla devozione al Sacro Cuore di Gesù. Accanto alle forme di religiosità proprie del tempo e del luogo, troviamo però in Tommaso da Olera quegli aspetti universali di elevatissima spiritualità che contraddistinguono il vero mistico. Anche questo non deve meravigliare: la fenomenologia dello spirito è identica in tutti i tempi e in tutti i luoghi e passa indenne attraverso le forme culturali – e anche le forme religiose – determinate nel tempo e nello spazio. Pratiche popolari e aristocrazia dello spirito non sono affatto in contrasto, e ogni esperienza spirituale autentica lo sa benissimo». 

Come ha osservato con particolare acutezza lo storico Mario Rosa, non mancarono diffidenze pesanti sull'evoluzione di questa mistica contemplativa e le stesse visioni delle Alacoque, sulle quali la Chiesa tardò a pronunciarsi. Ancheun personaggio come Prospero Lambertini, il futuro Benedetto XIV, bloccò per lungo tempo la richiesta di un ufficio e messa propri del Sacro Cuore, nel timore che una tale concessione aprisse la strada a richieste consimili, che egli esemplificherà, nella sua opera dedicata più tardi alla beatificazione e canonizzazione dei santi (1734-38) in una frantumazione devozionale, nel culto e nella festa del Costato, degli Occhi, della Lingua e del Cuore di Maria. 

«Quali fossero le perplessità al vertice della Chiesa romana e la personale cautela del Lambertini, che esprimevano la crisi in atto del cattolicesimo primo settecentesco tra le sollecitazioni del razionalismo europeo, le proposte riformatrici muratoriane, le reazioni curiali al giansenismo attraverso la rinnovata condanna del movimento con la bolla Unigenitus nel 1713, la devozione al Sacro Cuore continuò intanto il suo cammino irresistibile». 

Così durante il pontificato di Clemente XIII, nel 1765, fu concesso il culto pubblico del Sacro Cuore attraverso un ufficio e messa propri, ma la storia di questa «religione del cuore» avrebbe conosciuto altre svolte nei due secoli successivi, affermandosi sino al Concilio Vaticano II con grande popolarità attirando via via studi su un vero e proprio fenomeno osservato nelle sue dimensioni devozionali, spirituali, intimistiche, molto meno in quelle politiche. Un aspetto quest'ultimo, che alcuni storici leggono (si veda il volume “Sacro Cuore” di Daniele Menozzi edito da Viella nel 20011), ad esempio collegando il riconoscimento ufficiale del culto e i successo militari e politici della monarchia francese sino all’epoca rivoluzionaria, quindi analizzando le connessioni fra la pietà al Sacro Cuore e l’instaurazione del regno sociale di Cristo, sino al riemergere del tema nel magistero di Giovanni Paolo II, dove «il regno del Sacro Cuore» appare indicato quale rimedio ai mali della modernità politica e sociale.

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