II Tribunale vaticano ha rinviato a giudizio monsignor Carlo Alberto Capella, il prelato italiano consigliere di nunziatura accusato di pedopornografia e arrestato dalla Gendarmeria il 7 aprile scorso. Il processo a carico del diplomatico si terrà il prossimo venerdì 22 giugno, alle 15, fa sapere la Santa Sede in una nota in cui riferisce che il giudice istruttore ha provveduto a notificare la sentenza all’imputato, al suo avvocato e al Promotore di Giustizia, «a conclusione della fase istruttoria del procedimento in corso a suo carico».

Il Vaticano ricorda nel comunicato che «nella requisitoria del 30 maggio 2018 il Promotore di Giustizia, ritenendo sufficienti le prove acquisite, aveva chiesto che il giudice istruttore dichiarasse chiusa l’istruzione formale e disponesse con sentenza il rinvio a giudizio» di monsignor Capella. 

Ritenuta quindi la giurisdizione dell’Autorità giudiziaria vaticana, dal momento che «il reato contestato riguarda fatti commessi da un pubblico ufficiale, anche se all’estero», il giudice ha dichiarato «chiusa» l’istruzione formale e ha rinviato a giudizio Capella, con provvedimento del 7 giugno 2018. 

II reato contestato al 50enne Carlo Alberto Capella, ordinato sacerdote nel ’93 nell'arcidiocesi di Milano, in servizio presso la sezione per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato prima di divenire il numero tre nella Nunziatura Usa è quello di pedopornografia «nelle particolari fattispecie previste e punite dagli articoli 10 e 11» della legge numero VIII, ovvero «detenzione e scambio di materiale pedopornografico con l’aggravante dell’ingente quantità», sottolinea la nota della Santa Sede. 

Si tratta della “nuova” legge promulgata da Papa Francesco con un Motu proprio dell’11 luglio 2013, con il quale Bergoglio ha stabilito che ricadono sotto la giursidizione del Tribunale vaticano «i legati pontifici ed il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede». In particolare la legge in questione, recante “Norme complementari in materia penale”, dedica al tema della pedopornografia tre paragrafi: il 4 che configura il reato, il 10 che stabilisce le sanzioni per chi produce o fa commercio di materiale pedopornografico (reclusione da 6 a 12 anni e multa da euro 25mila a euro 250mila) e l’11 per chi «si procura o consapevolmente detiene materiale pedopornografico» (reclusione fino a due anni e multa da 1500 a 10mila euro). Lo stesso articolo stabilisce, inoltre, che «la pena è aumentata ove il materiale sia di ingente quantità». 

Il caso proprio di monsignor Capella. La sua vicenda inizia in Canada, dove il prelato era in vacanza: dalle indagini risulta che mentre visitava un luogo di culto a Windsor, in Ontario nel periodo tra il 24 il 27 dicembre 2016 aveva scaricato e condiviso una grossa quantità di materiale pedopornografico utilizzando, peraltro, un computer di una Chiesa locale. 

Presto era partita una segnalazione del Centro nazionale di coordinamento contro lo sfruttamento dei bambini (negli Usa e in Canada la legge a tutela dei minori è particolarmente severa), che aveva dato il via ad una indagine condotta sul web e sui siti internet coinvolti. 

Ad agosto 2017, il Dipartimento di Stato degli Usa aveva quindi inviato al Vaticano una notificazione per via diplomatica circa «la possibile violazione delle norme in materia di immagini pedopornografiche» da parte di un membro del corpo diplomatico della Santa Sede accreditato a Washington.

Il Vaticano non ha fatto attendere la sua risposta: a settembre il Pm Giampiero Milano aveva deciso di aprire un fascicolo sul caso. Inizialmente era stata mantenuta segreta l’identità del diplomatico ma presto fonti statunitensi avevano reso noto che si trattasse di un «senior member» (un membro di alto livello) dell’ambasciata vaticana a Washington. Le stesse fonti affermavano che il Dipartimento di Stato aveva chiesto ad agosto al Vaticano di rimuovere l’immunità diplomatica del funzionario, spiegando tuttavia che la richiesta era stata respinta tre giorni dopo. Ipotesi, questa, mai confermata.

Capella a inizio settembre era stato pertanto richiamato a Roma, evitando così  che fosse arrestato e processato negli Usa. Tra le mura leonine risiedeva nel Collegio dei Penitenzieri, lo stesso appartamento a pochi passi da Casa Santa Marta occupato dal polacco Jozef Wesolowski, nunzio nella Repubblica domenicana morto per problemi cardiaci prima che iniziasse il suo processo per pedofilia. 

A fine mese la polizia del Canada aveva emesso un mandato di arresto per Capella con le accuse di «possesso e distribuzione di materiale pedopornografico». Dal Vaticano informavano che si era a conoscenza del mandato ma non risultava pervenuta alcuna richiesta di arresto.

L’ultimo atto della vicenda era stato l’arresto del 7 aprile 2018, dopo un mandato di cattura emesso dal Tribunale vaticano su proposta del promotore di Giustizia. Il provvedimento è stato eseguito dalla Gendarmeria vaticana, nella cui caserma, in una cella, si trova attualmente detenuto il monsignore.

I commenti dei lettori