«Le relazioni con i musulmani in genere sono molto buone: noi cristiani siamo rispettati e guardati con simpatia. Con le persone di fede islamica ci legano non di rado anche rapporti di sincera amicizia. Ciò non significa che non esistano singole persone infastidite dalla nostra presenza, ma nel complesso siamo contenti della qualità della convivenza con i musulmani. Anche le autorità mostrano attenzione e grande cordialità nei nostri confronti». Con queste parole inizia il suo racconto il salesiano Cristobal Lopez Romero, arcivescovo di Rabat: spagnolo, 66 anni, ha esercitato il suo ministero in Paraguay, Spagna, Bolivia e Marocco dove, dal 2003 al 2010, è stato parroco a Kenitra e ha diretto la locale scuola dei salesiani. Il 29 dicembre 2017 è stato scelto per guidare la diocesi di Rabat.

Il re e il ministro

Nel giorno del suo ingresso in diocesi il re Mohammed VI ha voluto mandare un proprio rappresentante, il governatore locale. Successivamente l’arcivescovo è stato ricevuto «con straordinaria amabilità» dal ministro per gli affari religiosi. In Marocco, Paese nel quale la religione è tenuta in grande considerazione, questo è uno dei dicasteri più importanti. «Il ministro – che in occasione del Natale e della Pasqua invia sempre un’affettuosa lettera di auguri ai cristiani – ha espresso il genuino desiderio di stabilire anche con me quei rapporti cordiali e amichevoli che lo legavano al mio predecessore», racconta padre Lopez. «Le attenzioni riservate dal re e dal ministro sono segni, piccoli ma importanti, che testimoniano la volontà espressa dalle massime autorità del Marocco di mantenere buone relazioni con i cristiani».

Un piccolo gregge di stranieri

I marocchini (37 milioni) sono musulmani sunniti di rito malachita, che l’arcivescovo definisce «molto moderati». I cattolici, tutti stranieri, rappresentano una minoranza molto esigua e fanno capo a due diocesi: quella di Tangeri, la più piccola, e quella di Rabat, il cui territorio è grande quanto l’Italia: vi risiedono 33 milioni di persone. In questa diocesi le parrocchie sono 15, i sacerdoti 32 (di cui 17 religiosi di differenti congregazioni e 14 fidei donum), le religiose un centinaio. I cattolici, di circa 100 nazionalità, sono 25/30mila, con un’età media di 35 anni: un gruppo molto consistente è costituito da giovani provenienti dai Paesi subsahariani che giungono in Marocco per studiare: per loro le università sono gratuite e possono anche contare su borse di studio dell’Unesco. Un secondo gruppo, altrettanto numeroso, è rappresentato dagli stranieri che lavorano in diplomazia o nelle imprese. Vi sono poi i molti migranti provenienti dai Paesi subsahariani che cercano di raggiungere le coste europee e le donne che hanno sposato marocchini musulmani. Ogni anno molti fedeli (il 25-30%) lasciano la diocesi e sono sostituiti da altri che sopraggiungono: «La nostra – dice l’arcivescovo – è una Chiesa in continuo cambiamento e rinnovamento: per certi aspetti ciò comporta alcune difficoltà, ma indubbiamente siamo una comunità che non corre il rischio di sedersi o di chiudersi».

La libertà di coscienza

In questo Paese l’Islam è religione di Stato: «Il re ha il titolo di “Commendatore dei credenti” e in questa veste ha il compito di proteggere anche i cristiani e gli ebrei», spiega padre Lopez. «Noi cristiani possiamo professare liberamente la nostra fede e nelle nostre parrocchie sono presenti i tradizionali gruppi che caratterizzano le comunità cattoliche. Abbiamo però una limitazione: ci è proibita la manifestazione pubblica della fede: le processioni, ad esempio, sono consentite solo all’interno dei luoghi di culto. Inoltre è vietato il proselitismo. Nel campo della libertà di coscienza qualcosa si muove, specie nei circoli intellettuali. Un marocchino in teoria può scegliere liberamente la propria religione, la legge non glielo proibisce, ma la società gli farebbe probabilmente il vuoto intorno».

Il dialogo della vita

In Marocco non esistono commissioni dedicate specificamente al dialogo interreligioso, tuttavia il dialogo con i musulmani esiste, è fecondo e vivace. E si sviluppa a quattro livelli, sottolinea l’arcivescovo: «Il primo livello, che considero il più importante e coinvolge tutti, è quello che potrei chiamare il “dialogo della vita” ossia la prossimità, l’intesa che lega le persone cristiane e musulmane nella quotidianità: penso ad esempio alle solide amicizie nate in università tra gli studenti cristiani subsahariani e i loro coetanei musulmani o ai buoni rapporti che si instaurano nei luoghi di lavoro».

Le scuole

Il secondo livello riguarda le molte forme di collaborazione che – attraverso associazioni, scuole, istituzioni pubbliche e private – si instaurano tra cristiani e musulmani, impegnati a lavorare fianco a fianco per i diritti umani, la promozione della donna, l’educazione, la salute, il contrasto al lavoro minorile. Nella diocesi di Rabat, ad esempio, vi sono quindici scuole cattoliche con 12mila studenti e 800 insegnanti. I direttori, cristiani e musulmani, hanno redatto insieme un importante progetto educativo: «Non si menziona esplicitamente Gesù ma è un documento profondamente evangelico e i musulmani, da parte loro, lo considerano rispondente alla loro religione», osserva padre Lopez che cita un altro esempio, quello della Caritas, nella quale lavorano serenamente insieme cristiani e musulmani, impegnati di recente anche in un progetto a sostegno dei migranti.

La condivisione

Il terzo livello, prosegue l’arcivescovo, è quello rappresentato da piccoli gruppi di fedeli «che periodicamente si incontrano per conoscersi, per condividere i rispettivi cammini di fede e approfondire la visione cristiana e musulmana della vita. Accade qualche volta, in alcuni luoghi, che cristiani e musulmani si riuniscano per pregare insieme: questo è il quarto livello e coinvolge un numero esiguo di persone».

L’amico musulmano

Fra gli amici di fede islamica di padre Lopez vi è Rachid Makh Makh: 52 anni, celibe, vive a Kenitra, dove ricopre l’incarico di supervisore generale della locale scuola “Don Bosco”, istituto nel quale ha insegnato francese e inglese: «Lavoro qui da 18 anni e mi piace molto». Fra i motivi menziona: la presenza dei padri salesiani che seguono con grande dedizione gli studenti, la libertà di espressione e di iniziativa che viene garantita, la credibilità del sistema educativo salesiano che si è dimostrato valido ed è apprezzato da tutta la comunità educante, il proposito di offrire agli allievi una educazione completa. Rachid definisce buona ed «edificante» la propria esperienza nella scuola, nella quale ha imparato «il senso della comunità, lo spirito di famiglia e la gioia nel lavoro».

Felici insieme

A proposito dei rapporti tra cristiani e musulmani nella scuola, afferma: «Ovviamente vi sono differenze culturali e abbiamo mentalità diverse. D’altra parte cristiani e musulmani hanno valori comuni. Nella nostra scuola, in cui la presenza del sacerdote – simbolo dell’energia spirituale e della coesione della comunità educante – è fondamentale, regnano spirito di collaborazione e comprensione, stima e rispetto reciproci. Ci completiamo. Abbiamo tutti a cuore la promozione dei valori morali universali. Personalmente sono lieto della presenza dei cristiani che considero cruciale per la sopravvivenza dell’opera. Le mie relazioni con i colleghi cristiani sono basate sulla moralità, la fiducia, la professionalità. Ci legano un vero spirito di famiglia e un’autentica complicità. Dio ci ha creati unici e diversi gli uni dagli altri ma abbiamo la capacità e la forza di lavorare insieme. È naturale che tra noi esistano differenti visioni: l’importante è rispettarsi reciprocamente e non imporre alcunché all’altro. La diversa appartenenza religiosa non ci impedisce di essere felici insieme».

Società aperta al dialogo

In Marocco, spiega, «dove è presente una minoranza un po’ riluttante all’avvicinamento tra i cristiani e i musulmani – mi riferisco ai fondamentalisti estremisti (fanatici musulmani e correnti estremiste) – la maggioranza dei musulmani è molto aperta al dialogo e alla conoscenza dell’altro». Rachid conclude dicendosi convinto che «le persone autenticamente religiose (di religioni diverse) che vivono e lavorano insieme per l’educazione delle giovani generazioni, possano insegnare al mondo che, qualunque sia la religione di appartenenza o il colore della pelle, è possibile lavorare uniti, in armonia, portando un arricchimento alla comunità».

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