Uno sciame di droni houthi assalta i palazzi reali sauditi, le truppe degli Emirati alla conquista del porto ribelle sul Mar Rosso ed almeno 10 mila morti in 36 mesi in una nazione alle soglie della carestia: sono i tasselli del feroce conflitto tribale che dilania lo Yemen, contrappone gli alleati di Riad e Teheran, ed è la più seria crisi umanitaria in corso.

I protagonisti del conflitto sono i ribelli houthi, sostenuti dall’Iran, che nel 2014 hanno deposto il governo di Sanaa dando inizio alla guerra civile e l’Arabia Saudita che dal 2015 guida una coalizione di Paesi sunniti intenzionata a sconfiggerli e ripristinare la situazione precedente al golpe, insediando a Sanaa il presidente Abd-Rabbo Mansur Hadi al momento esule a Riad.

L’intervento militare sunnita nasce dall’intesa fra Mohammed Bin Salman, principe ereditario saudita, e Sheik Mohammed bin Zayed Al-Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi negli Emirati, per impedire all’Iran di Ali Khamenei di sfruttare l’etnia houthi, apparentata agli sciiti, per impossessarsi della nazione araba appollaiata sullo Stretto di Bab al-Mandeb da cui controlla l’accesso al Mar Rosso e dunque la rotta del petrolio fra il Golfo e l’Occidente. Lo scontro fra potenze sunnite - Arabia ed Emirati - e il gigante sciita dell’Iran evidenzia la sfida strategica in atto per il controllo del Medio Oriente, che ha in Siria, Iraq, Qatar e Bahrein altri fronti di attrito.

Ma ciò che distingue lo Yemen è l’assoluto stallo militare perché nessuno dei contendenti riesce a imporsi sul campo. I ribelli houthi sono stati costretti nel Sud ad abbandonare Mukalla ed Aden alle forze sunnite ed ora sono assediati a Hodeidah, il loro maggiore porto sul Mar Rosso, ma conservano nel Nord il saldo controllo delle province tribali di Saada e Amran, che circondano la capitale Sanaa. Ed è proprio da questi territori che lanciano verso la confinante l’Arabia Saudita attacchi con missili e droni che mostrano un’efficacia tattica crescente: gli Scud-B, intercettati dal Patriot americani, hanno puntato più volte all’aeroporto di Riad ed in alcune occasioni perfino alla Mecca mentre i droni armati di mini-ordigni riescono a sfuggire alla sorveglianza aerea e puntano verso obiettivi simbolici come infrastrutture petrolifere e residenze reali.

Si tratta di droni molto leggeri, poco sofisticati, lanciati anche a mano dai ribelli houthi, che piombano sull’Arabia Saudita come una sorta di sciami con esplosivi ad alto potenziale in una nuova declinazione aerea della tattica della guerriglia, capace di arrecare gravi danni proprio perché le contromisure elettroniche al momento sono carenti e dunque per abbatterli restano le mitragliatrici anti-aeree. Ciò significa che gli houthi, sotto la regia della forza Al Qods dei Guardiani della rivoluzione iraniani guidati dal generale Qassem Soleimani, riesce a bersagliare l’Arabia Saudita sul suo stesso territorio. Obbligando le popolazioni di frontiera a vivere nei bunker. Da qui la contromossa di Riad di usare i raid aerei della coalizione contro le roccaforti houthi ma la struttura tribale consente spesso ai ribelli di sfuggire, dileguandosi in un territorio dove si confondono con la popolazione.

La combinazione fra tribù delle montagne e droni esplosivi generale una nuova versione del conflitto asimmetrico. Ed a farne le spese sono anche petroliere saudite e navi militari emiratine: bersagliate con successo da missili e droni houthi nelle acque yemenite. Il risultato è una lunga e difficile campagna militare di terra che vede ora 25 mila governativi yemeniti e 1500 truppe emiratine impegnate a vincere la resistenza di circa 2000 houthi a Hodeidah per privare i ribelli dell’accesso al mare, spingendoli a ritirarsi verso l’interno, per poi iniziare l’offensiva contro Sanaa. I tentativi di Gran Bretagna, Francia e Germania di arrivare ad una tregua coinvolgendo Teheran e Riad, finora stentano a dare frutti così come stenta a decollare il piano di pace dell’inviato Onu, Martin Griffiths, basato sulla fine simultanea dei raid aerei sauditi e dei lanci di missili e droni da parte degli houthi.

Il braccio di ferro militare appare così destinato a prolungarsi nel tempo e, secondo i rapporti di più agenzia delle Nazioni Unite, promette di aggravare ulteriormente una crisi umanitaria che conta già oltre 10 mila vittime, 50 mila feriti, 2 milioni di profughi e 22 milioni di persone - la metà bambini - bisognosi di assistenza umanitaria, inclusi 8 milioni considerati “a un passo dalla carestia” perché totalmente dipendenti dagli aiuti esterni. In particolare, afferma un recente studio della Croce Rossa Internazionale, per effetto della guerra civile 15,7 milioni di yemeniti “non hanno accesso ad acqua potabile e servizi sanitari” rendendo possibile ogni sorta di epidemie. Insomma, una nazione di 27 milioni di anime dilaniata dalla guerra e stremata dalla fame ripropone in Yemen quanto già avvenuto in Siria: è il conflitto regionale, feroce ed atavico, sunniti-sciiti che tiene banco.