Padre Giulio Albanese, missionario comboniano fondatore dell’agenzia Misna, cosa ci fanno i turchi in Africa?

«Colonizzano il continente».

Non sono gli unici: perché allora tanta attenzione?

«La loro capillarità fa impressione, la presenza di progetti e imprese turche ha assunto forme quasi egemoniche in alcune aree. In Africa Ankara ha 44 ambasciate, il triplo dell’Italia. E l’interesse per questa parte di mondo è dimostrato anche dai viaggi di Erdogan: ben 3 nel 2017 con molteplici tappe, e uno finora quest’anno, in febbraio. Nell’Africa sub-sahariana stiamo assistendo a un espansionismo neo-ottomano che potrebbe condizionare non poco i destini dell’Africa Orientale».

Che caratteristiche ha la penetrazione turca in Africa?

«Anzitutto sono portatori di un volto nuovo dell’islam, ma non solo. I turchi si muovono nel solco del pragmatismo e sono orientati principalmente al business. Sono interessati alle materie prime, alle commodities in generale. Portano lavoro, ed esportano la propria manodopera. Fanno accordi bilaterali con gli Stati e arrivano con le loro imprese».

Non sono mossi quindi dal tentativo di esportare la loro visione dell’islam?

«Quello è un effetto secondario; Ankara finanzia la costruzione di moschee, ma non c’è nei turchi la spregiudicatezza dei salafiti».

Chi sono gli alleati dei turchi nell’area?

«C’è un interesse dei russi, ma Putin non si svela anche se alcuni progetti hanno decisamente finanziamenti russi».

E chi sono i rivali?

«I cinesi. Sono ormai ovunque, e la loro presenza è il segno che la geografia politica dell’Africa è cambiata negli ultimi anni».

Come?

«Prima i Paesi coloniali si spartivano il territorio in aree di influenza, ora tutto è parcellizzato, si va alla caccia di ogni tipo di risorse e beni del sottosuolo ovunque essi siano. E l’effetto è che l’Africa si impoverisce sempre di più. Poi non chiediamoci perché il fenomeno migratorio è inarrestabile».

Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa

I commenti dei lettori