A tre anni dalla firma dell’“Accordo Globale” tra la Santa Sede e lo Stato di Palestina, l’ambasciatore palestinese presso la Santa Sede, Issa Kassissieh, ha scritto un intervento per ricordare quello storico evento, che rappresenta un «modello per la regione», e fare alcune considerazioni sulla situazione dei cristiani in Terra Santa, il governo di Israele e l’amministrazione statunitense.

Nell’articolo, il rappresentante di Machmoud Abbas presso il Palazzo apostolico parte da un ricordo di padre Zakaria Shomali che, come Gregorios Hajjar, Ibrahim Ayyad, il vescovo Capucci e il patriarca Michel Sabbah «rappresenta per il popolo palestinese quel che padre André Jarlan ha rappresentato per i cileni sotto la dittatura di Pinochet o l’arcivescovo Desmond Tutu significa per i sudafricani che combattevano l’Apartheid. Questa forte convinzione morale sul loro messaggio per una pace giusta e per l’uguaglianza rappresenta l’importanza del cristianesimo in Palestina. Quindi, i rapporti tra la Palestina e la Santa Sede vanno ben oltre un riconoscimento politico o le esenzioni fiscali. Esso onora piuttosto il ruolo centrale che il cristianesimo ha quale parte del tessuto sociale della Palestina, la culla del cristianesimo, dove nostro Signore Gesù Cristo è nato, vissuto ed è stato crocifisso».

«Questo – ha scritto l’Ambasciatore palestinese presso la Santa Sede – è esattamente ciò che la parte palestinese mirava a realizzare attraverso lo storico Accordo globale Palestina – Santa Sede firmato il 26 giugno 2015. Il processo, svoltosi su istruzione diretta del presidente Abbas in consultazione con vari ministeri palestinesi, aveva lo scopo di fornire alle chiese in Palestina i ben meritati benefici per poter continuare la loro missione storica. E mentre i capi delle Chiese erano costretti a chiudere il Santo sepolcro a causa delle pressioni israeliane che miravano a costringerli a pagare le tasse contro lo status quo storico e legale della Città santa di Gerusalemme, noi guardiamo a modi costruttivi per facilitare il loro lavoro e assicurare la stessa presenza della Chiesa in Terra Santa».

L’accordo, scrive il diplomatico palestinese, «serve come modello per il resto della nostra regione. Ciò non dipende solo dalla sua completezza (otto capitoli e 32 articoli), ma dal suo messaggio: la coesistenza tra cristiani e musulmani non è solo possibile, è un dovere. La Chiesa cattolica gode della piena autonomia sotto la legge palestinese così come la Santa Sede ha riconosciuto lo Stato di Palestina nei confini del 1967. E se ci sono ancora alcune sfide per la piena applicazione dell’accordo, è chiaro che le nostre relazioni sono basate su un terreno molto solido che è antico di secoli».

L’ambasciatore Kassissieh cita, ancora, l’esempio della Terra Sancta School vicino alla Natività, per spiegare che «uno Stato di Palestina libero e sovrano sarebbe il modo migliore per assicurare il futuro di una comunità cristiana vibrante in Palestina. Crediamo che il nostro accordo bilaterale possa contribuire nell’attuale tentativo di sostenere la battaglia dei palestinesi, sia cristiani che musulmani, per porre fine all’occupazione e vivere in pace e reciproco rispetto all’interno dei confini internazionali dei due Stati di Israele e Palestina. Gli israeliani hanno imposto la separazione tra Gerusalemme e il resto della Palestina, il mancato accesso ai siti religiosi, la costruzione del muro di annessione, anche in noti posti significativi per il cristianesimo come il Cremisan e il Monte degli Olivi, la confisca di terre, la divisione delle famiglie tramite leggi irrazionali e ogni singolo elemento collegato al regime militare imposto da Israele in palestina, che non dovrebbero uccidere la nostra speranza. Come diceva il nostro presidente Yasser Arafat, “non c’è Palestina senza cristiani”. Questa è la nostra identità nazionale».

Per l’Ambasciatore palestinese presso la Santa Sede, infine, «in un momento in cui gruppi di cristiani sionisti influenzano negativamente le politiche estere e tentano di distorcere la storia della nostra terra, il Governo israeliano e l’amministrazione Trump si avvalgono di argomenti religiosi presi dalla Bibbia per giustificare il loro sostegno a politiche sbagliate e all’oppressione del popolo palestinese. Questo non dovrebbe essere tollerato. Non solo per la nostra storia, ma per i nostri valori».

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