La Caritas alla sua prima esperienza di accoglienza migranti tramite i Corridoi umanitari: è arrivata ad Asti una famiglia eritrea di 5 persone, ospite della comunità parrocchiale di San Domenico Savio.

La famiglia è formata da Maryan (classe 1985) e i suoi figli: Filipo (15 anni), Saber (13 anni), Gebral (11 anni), Kinan (9 anni). Maryan è fuggita dall’Eritrea per evitare per sé e per i quattro figli l’arruolamento nell’esercito (tutti gli eritrei con più di 18 anni sono obbligati a lavorare a tempo indeterminato per l’Esercito).

A raccontarlo è Beppe Amico, direttore della Caritas diocesana che illustra così il progetto: «E’ la prima esperienza sul nostro territorio frutto del protocollo di intesa che, nel gennaio 2017, la Cei insieme alla Comunità di Sant’Egidio ha siglato con il Governo. Il protocollo prevede l’apertura di un corridoio umanitario dall’Etiopia, secondo paese per numero di rifugiati».

La fuga

Racconta Beppe Amico: «Fuggita dall’Eritrea, una delle zone più povere e martoriate dell’Africa, Maryan ha vissuto nel campo profughi di Shimelba in Etiopia». Lì è stata raggiunta da operatori di Caritas Italiana, scelta per il progetto dei Corridoi Umanitari e abbinata alla Caritas di Asti: «Maryan e suo figlio Filippo oltre a parlare un po’ inglese conoscono anche un po’ di italiano – aggiunge Amico – Sono cristiani cattolici e questo gli consentirà di inserirsi nella comunità parrocchiale e nella Diocesi. Da mercoledì sono nella parrocchia di San Domenico Savio che con la Caritas gestirà l’accoglienza e le azioni necessarie per il loro inserimento. Sono arrivati stanchi e anche un po’ provati, ma sono pieni di speranza: starà a noi accompagnarli nel modo giusto per non deluderla».

Il progetto

L’obbiettivo è dare soluzioni concrete: «Il protocollo prevede l’ingresso legale e sicuro di 500 persone ospitate in campi profughi in Etiopia - spiega Amico - . La Chiesa si fa carico della realizzazione del progetto tramite l’8x1000 senza oneri per lo Stato».

Caritas e Fondazione Migrantes si sono impegnate a garantire il processo di integrazione: «Ai beneficiari – precisa Amico - viene rilasciato un visto a territorialità limitata per motivi umanitari. Con questo visto inizieranno la procedura per la richiesta di protezione internazionale. L’obiettivo principale è quello di evitare le morti in mare, il traffico di esseri umani, e di far vedere che è possibile utilizzare anche altri canali di ingresso».

«Questo tipo di accoglienza - aggiunge Beppe Amico - è inserita nel progetto “Protetto. Rifugiato a casa mia” che si connota per l’esperienza comunitaria e per la presenza di famiglie tutor, ovvero di persone che si rendono disponibili ad accompagnare i rifugiati nel percorso di integrazione».

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