Un doppio appello di pace per il Nicaragua e per la Siria stremata da anni di conflitti. Un incoraggiamento al dialogo ritrovato tra i governi di Etiopia ed Eritrea dopo vent’anni di guerra e un pensiero ai dodici ragazzi intrappolati in una grotta in Thailandia. Infine la richiesta di accompagnare spiritualmente lo storico incontro del prossimo 7 luglio a Bari con leader e patriarchi delle Chiese orientali per pregare per la drammatica situazione del Medio Oriente. Papa Francesco posa lo sguardo su tutte le situazioni di sofferenza e di instabilità del mondo odierno e, nell’Angelus di questa domenica in piazza San Pietro, chiede ai 20 mila fedeli presenti di sostenerlo in questa invocazione di pace globale.

Anzitutto il Pontefice rinnova la sua preghiera «per l’amato popolo del Nicaragua», ribadendo il desiderio di «unirmi agli sforzi che stanno compiendo i vescovi del Paese e tante persone di buona volontà nel loro ruolo di mediazione e di testimonianza per il processo di dialogo nazionale in corso sulla strada della democrazia».

Poi concentra l’attenzione sulla Siria dove la situazione «rimane grave», in particolare nella provincia di Daraa «dove le azioni militari di questi giorni hanno colpito scuole e ospedali e hanno provocato migliaia di nuovi profughi». L’appello del Papa è che «alla popolazione già duramente provata da anni siano risparmiate ulteriori sofferenze».

In mezzo a tanti conflitti, tuttavia, si accende una «luce di speranza»: l’annuncio di un futuro vertice tra Etiopia ed Eritrea volto a concludere definitivamente un conflitto (probabilmente il più lungo in Africa) durato per oltre vent’anni. In questi giorni i due governi «sono tornati a parlare di pace», è «una iniziativa che si può definire storica e anche si può dire che è una buona notizia», commenta Francesco. Soprattutto è una «luce di speranza per questi due Paesi del Corno d’Africa e per l’intero continente africano».

Il Papa non manca poi di rivolgere un pensiero ai dodici ragazzi di una squadra di calcio che, con il loro allenatore, sono spariti in un reticolato di caverne sotterranee lungo sei miglia a Tham Luang, in Thailandia, lo scorso 23 giugno. Una corsa contro il tempo quella dei soccorritori giunti già al settimo giorno di ricerche. Bergoglio chiede preghiere per loro. 

E le domanda pure per il suo imminente viaggio a Bari del 7 luglio dove, «insieme a molti capi di Chiese e comunità cristiane del Medio Oriente, vivremo una giornata di preghiera e riflessione sulla sempre drammatica situazione di quella regione, dove tanti nostri fratelli e sorelle nella fede continuano a soffrire, e imploreremo a una voce sola: “Su di te sia pace!”. Chiedo a tutti - dice il Pontefice - di accompagnare con la preghiera questo pellegrinaggio di pace e di unità».

Nella sua catechesi prima dell’Angelus Francesco è tornato, invece, a ribadire la misericordia di Dio sottolineando che «sulla strada del Signore sono ammessi tutti: nessuno deve sentirsi un intruso, un abusivo o un non avente diritto». 

Spunto per la riflessione del Vescovo di Roma è il Vangelo di oggi che presenta due prodigi operati da Gesù, descritti - osserva - «quasi come una sorta di marcia trionfale verso la vita». La prima è la vicenda di Giairo, uno dei capi della sinagoga al quale è morta la figlia dodicenne e che Gesù resuscita dicendo: «Fanciulla, io ti dico: alzati!». E «subito la ragazza si alza, come svegliandosi da un sonno profondo». E poi il racconto della guarigione di una donna che soffriva di emorragie e che viene sanata appena tocca il mantello di Gesù. «Qui - evidenzia il Papa - colpisce il fatto che la fede di questa donna attira… a me viene da dire “ruba”… la potenza salvifica divina che c’è in Cristo, il quale, sentendo che una forza “era uscita da lui”, cerca di capire chi sia stato. E quando la donna con tanta vergogna si fa avanti e confessa tutto, Lui le dice: “Figlia, la tua fede ti ha salvata”». 

In questi «due racconti ad incastro», c’è «un unico centro»: la fede, afferma Francesco. Essi «mostrano Gesù come sorgente di vita, come Colui che ridona la vita a chi si fida pienamente di Lui. I due protagonisti, cioè il padre della fanciulla e la donna malata, non sono discepoli di Gesù eppure vengono esauditi per la loro fede». Da questo si comprende che «per avere accesso al suo cuore c’è un solo requisito: sentirsi bisognosi di guarigione e affidarsi a Lui», sottolinea il Pontefice. E a braccio aggiunge: «Io vi domando: ognuno di voi si sente bisognoso di guarigione? Di quella cosa, di quel peccato, di quel problema?».

«Gesù - dice il Papa riprendendo la catechesi - va a scoprire queste persone tra la folla e le toglie dall’anonimato, le libera dalla paura di vivere e di osare. Lo fa con uno sguardo e con una parola che li rimette in cammino dopo tante sofferenze e umiliazioni». Anche noi, allora, «siamo chiamati a imparare e a imitare queste parole che liberano e questi sguardi che restituiscono, a chi ne è privo, la voglia di vivere». 

Gesù «è venuto ad offrire a tutti» la «vita nuova», chiosa il Papa. Lui «è il Signore» e per Lui «la morte fisica è come un sonno: non c’è motivo di disperarsi». Piuttosto è «un’altra la morte di cui avere paura: quella del cuore indurito dal male! Quando noi sentiamo di avere il cuore indurito, il cuore che si indurisce e mi permetto la parola: il cuore mummificato. Di quello si che dobbiamo avere paura», sottolinea Papa Francesco. «Ma anche il peccato, il cuore mummificato… per Gesù, non è mai l’ultima parola, perché Lui ci ha portato l’infinita misericordia del Padre. E anche se siamo caduti in basso, la sua voce tenera e forte ci raggiunge: “Io ti dico: alzati!”. È bello sentire quella parola di Gesù rivolta ad ognuno di noi: io ti dico alzati, vai, coraggio, alzati».

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