«A portarmi qui è il coraggio della paura. Sono malato, mi resta poco da vivere e quindi non mi spaventano più». E’ iniziata così la drammatica testimonianza di Roberto Bertaglia, 61 anni, imprenditore novarese, al processo contro Antonio Raso, difeso dagli avvocati Ugo Fogliano e Guglielmo Ramella, accusato di estorsione e riciclaggio. Bertaglia, che a causa delle minacce ricevute vive all’estero e in Italia viaggia sempre sotto scorta, è stato una delle vittime dei componenti della famiglia Raso che da Dorzano guidavano la ’ndrina detta «di Santhià», l’unico esempio di malavita organizzata emerso, per ora, nel Biellese.

Una testimonianza drammatica quella di Bertaglia, che ha dichiarato di essere anche stato sequestrato per un pomeriggio dai due fratelli Raso, Enrico e Diego, e da Antonio Miccoli, che dopo averlo prelevato in un bar di Novara, con fare tanto deciso da preoccupare il gestore, un ex appartenente alle forze dell’ordine, l’avevano trattenuto fino a sera, cercando di convincerlo a versare loro 120 mila euro per crediti non ben definiti.

L’odissea di Bertaglia inizia a Dorzano, ai tavolini della Rotonda, oggi night ma all’epoca, siamo nel 2009, soprattutto ristorante, dove Giuseppe Basone, che gli aveva venduto l’Immobiliare Isabella, con sede a Biella, gli presenta Antonio Raso. Personaggio particolare Basone, per cui le richieste di denaro, immotivate, da parte dei Raso erano espresse in tono soltanto «vivace» e a cui sono state bruciate due auto. In sua presenza il capostipite della famiglia, senza preamboli, chiede all’uomo d’affari novarese un affidamento di due milioni per costruire un albergo su di un’area, di Dorzano, in cui già possiede un distributore. Per Bertaglia e il suo socio Gian Domenico Paravati, è soltanto l’inizio di un incubo. Le richieste di denaro da parte dei due figli di Raso sono costanti, sempre accompagnate da minacce. E neppure il fatto che l’Immobiliare Isabella non abbia in realtà nessun lavoro da portare avanti li ferma. A essere preso di mira è soprattutto Bertaglia, costretto a chiudersi in casa, oscurando le finestre con cartoni.

L’anomalia emersa in aula è però che gli episodi riguardano i due fratelli Raso, Diego ed Enrico, e qualche fiancheggiatore, mentre l’accusato, il padre Antonio, Bertaglia l’ha visto soltanto in un paio di occasioni, come hanno fatto rilevare i difensori. Più complessi i rapporti con un altro imputato, il commercialista Angelo Di Corrado, che avrebbe presentato Basone all’imprenditore e poi in qualche caso sarebbe stato presente alle intimidazioni. Quasi ignorato il terzo imputato Suvad Operta, con cui Bertaglia non avrebbe praticamente mai parlato.

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

I commenti dei lettori