Un angosciato silenzio delle istituzioni si solleva intorno alla Lega. Furibondi gli uomini di Matteo Salvini si scagliano contro la procura di Genova e la sentenza che impone il sequestro dei futuri introiti del partito, per 49 milioni di euro. «È un gravissimo attacco alla democrazia», «ci vogliono impedire di lavorare ed esistere», «è un processo politico per mettere fuori gioco il primo partito italiano», «solo in Turchia, nei tempi moderni, un partito democratico e votato da milioni di persone è stato messo fuorilegge attraverso la magistratura».

Dall’agitazione e dall’indignazione, mentre il governo attacca la magistratura e quindi un pezzo di Stato attacca un altro pezzo di Stato, nel Carroccio prende corpo una bizzarra idea: chiedere al Capo dello Stato Sergio Mattarella un incontro urgente, non appena rientrerà dai Paesi baltici. Il Quirinale, però, osserva senza commentare gli sviluppi dell’inchiesta, le reazioni politiche, gli attacchi contro la magistratura. E quando arriva la notizia dell’incontro chiesto dalla Lega, il silenzio si fa ancora più forte.

Botta e risposta

D’altronde, nessun presidente della Repubblica ha mai interferito con delle decisioni prese da una procura. Mai, anche perché è il Capo dello stato a presiedere il Consiglio superiore della magistratura. Da Palazzo dei Marescialli, in linea con il Colle, non arriva infatti nessun commento ufficiale. Ma un segnale forte viene inviato al termine del Plenum, quando tra i togati emerge la necessità di riunirsi per un nuovo confronto durante il quale - secondo quanto trapela - viene espressa «seria preoccupazione» per le parole e i toni usati dalla Lega, ritenuti «inaccettabili». Replica pubblicamente, invece, il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Francesco Minisci: «Va ribadito con forza che i magistrati, con il loro provvedimenti, non attaccano la democrazia o la Costituzione, né perseguono fini politici, ma emettono sentenze in nome del popolo italiano, seguendo regole e principi di diritto».

Ma quella della Lega sembra una strategia difensiva che nulla ha a che fare con i tribunali. Matteo Salvini ostenta serenità e superiorità: «Qualche giudice che fa politica, ma non esiste un disegno generale. Noi siamo tranquillissimi, nessuna preoccupazione contro questa sentenza bizzarra». E rigetta anche l’ipotesi di un ricorso alla piazza: «Non abbiamo tempo da perdere con queste cose, abbiamo troppo da lavorare». Nel frattempo, però, gli uomini di governo del Carroccio proseguono l’operazione di cannoneggiamento contro la procura di Genova, da Nicola Molteni, sottosegretario all’Interno, a Gianmarco Centinaio, ministro dell’Agricoltura. «Stiamo dando fastidio ed è il modo per volerci fermare», dicono a una sola voce.

I grillini si smarcano

C’è dell’imbarazzo, però, anche nel Movimento 5 Stelle. Nessuno, in questi giorni, sembra voler essere accostato alla Lega. «Abbiamo firmato un contratto di governo e stiamo insieme solo per quello», ripetono come un mantra deputati e senatori. Ma la questione pesa: per il sequestro dei 49 milioni di euro ad un alleato di governo, per gli attacchi alla magistratura, per il nuovo filone di inchiesta per riciclaggio aperto nei primi mesi del 2018. «È una vicenda che non mi sorprende. La Lega la conoscevamo già», commenta Simone Valente, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento e deputato M5S, ma l’alternativa sarebbe stata tornare al voto». «Noi non c’entriamo nulla con la Lega nè con i loro valori, - aggiunge Valente - e questo, oggi, mi sembra ancora più evidente». Le diverse sensibilità stanno emergendo sempre di più. La senatrice Laura Bottici, questore a Palazzo Madama per i Cinque stelle, desidera solo «arrivare agli obiettivi decisi nel contratto: quello è il nostro faro». Tanto che, parlando della nuova inchiesta per riciclaggio, si dice sicura che «se qualche ministro leghista del governo risulterà condannato, dovrà dimettersi. È nel contratto».

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