Ha fatto scalpore la vicenda di don Giuliano Costalunga, fino a due anni fa parroco di Selva di Progno, un paesino dei monti Lessini in provincia di Verona, ma tuttora sacerdote, il quale lo scorso aprile si è unito al suo compagno spagnolo nel corso di una cerimonia a Gran Canaria. Il video delle nozze ha fatto il giro del web e Costalunga ha raccontato che questo atto arriva dopo una storia durata dieci anni con Pablo, già suo collaboratore.

 

Quello del sacerdote veronese è uno dei casi di seminaristi vaganti: una settimana prima dell’ordinazione, la via al sacerdozio gli venne sbarrata dall’allora vescovo Attilio Nicora, evidentemente per motivazioni gravi. È più che lecito chiedersi come mai nessuno avesse sollevato obiezioni in precedenza e il quasi “don” fosse stato ordinato diacono. Ma si trattava di un periodo di transizione nella vita del seminario, che aveva visto succedersi ben tre diversi rettori nel giro di qualche mese. Giuliano Costalunga uscì dunque dal seminario di Verona iniziando a girare l’Italia in cerca di un vescovo che lo ordinasse e approdò a Rieti, dove venne accolto dal vescovo Giuseppe Molinari che lo ordinò sacerdote. Dopo qualche tempo, quando sulla cattedra episcopale veronese a Nicora era succeduto padre Flavio Roberto Carraro, don Costalunga chiese di tornare nella sua diocesi di origine adducendo motivi di salute per un riavvicinamento a casa.

 

Era stato l’attuale vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, ad affidargli la parrocchia del paesino di montagna, dandogli fiducia. Ma già da tre anni don Costalunga non ha più la responsabilità di parroco: ha sempre motivato le sue lunghe assenze con motivi di salute, senza spiegare al suo vescovo le vere ragioni, legate al suo rapporto con il compagno. A febbraio, don Giuliano, tramite un’email girata alla curia veronese dal suo avvocato Alex Dal Cero, ha dichiarato di non voler più essere prete: «La scelta di unirsi in matrimonio è stata maturata dal signor Costalunga quale libero cittadino – spiega il legale - e solo dopo aver comunicato formalmente la scelta di voler perdere lo stato clericale».

 

Va detto, per inciso, che nella Chiesa le cose non funzionano così. Non ci si “dimette” dal sacerdozio con un’email o una raccomandata con ricevuta di ritorno. E qualsiasi prete lo sa: esiste una procedura per richiedere la dispensa. Il punto però non è questo. Con tutto il rispetto per il travaglio e per le scelte personali dell’ex parroco, la vicenda ripropone ancora una volta non soltanto l’urgenza di formare sacerdoti che siano maturi dal punto di vista affettivo, senza problemi irrisolti che poi si trascinano condizionandone il ministero, ma anche riapre il problema dei seminaristi “vaganti”.

Ci possono essere e ci sono stati svariati casi in cui incomprensioni, incompatibilità ambientali, etc. rendono salutare un cambio d’aria e il passaggio da un seminario all’altro senza che per questo si arrivi all’ordinazione sacerdotale di persone inadatte. Ma ci sono stati pure tanti esempi, anche in tempi recentissimi, di diocesi e di seminari divenuti ricettacolo di ogni fuggiasco allontanato dal seminario della sua diocesi d’origine. Una delle motivazioni usate più di frequente negli ultimi anni per chiedere accoglienza è stata quella di non essere sufficientemente compresi o di essere discriminati perché si voleva portare la veste talare e magari imparare a celebrare in rito antico. Mentre in realtà i problemi erano di tutt’altra natura, come ha purtroppo dimostrato il caso di Albenga.

 

Infine, il caso di don Giuliano Costalunga riapre la domanda su come sia possibile che un prete viva per due lustri una doppia vita, continuando ad esercitare il suo servizio (seppure defilato) senza che nessuno si accorga di nulla, senza che il suo problema emerga e venga in qualche modo affrontato.

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